di Luca Chierici foto© Clarissa Lapolla
Il triennio 1790-92 riveste una particolare importanza nel contesto storico e musicale viennese: Mozart muore nella capitale dell’Impero il 5 dicembre del ’91, Cimarosa mette in scena Il matrimonio segreto il 7 Febbraio dell’anno successivo grazie anche alla benevolenza dell’Imperatore Leopoldo II, succeduto al più “mozartiano” e massone fratello Giuseppe II che era scomparso il 20 Febbraio del 1790. Non è il caso di riprendere qui polemiche scontate che scaturiscono da un paragone tra Mozart e Cimarosa, tantomeno insistere sulle similarità vocali e di carattere tra Il matrimonio segreto e il binomio Nozze di Figaro – Così fan tutte. È vero che i sei personaggi del Matrimonio segreto richiamano, per le loro caratteristiche vocali e in parte per il loro carattere quelli del Così fan tutte, che la prima Fidalma viennese fu anche Cherubino e Despina all’interno della trilogia di Mozart-Da Ponte e che il ruolo del Conte Robinson era stato affidato a quel Benucci tanto amato da Mozart e primo interprete di Figaro e di Guglielmo. Ma è da sottolineare il fatto che Il matrimonio segreto ebbe a Vienna un successo clamoroso, forse lo specchio di un clima di relativa involuzione culturale del pubblico, che durò per buona parte dell’800 in tutta Europa (grazie anche al sostegno dichiarato di un Goethe e di uno Stendhal) e che perdurò – seppure in maniera piuttosto limitata – anche nella prima metà del secolo successivo, cristallizzando il nome dell’autore e l’opera stessa in un ideale esempio di teatro rococò quando nel frattempo la trilogia di Mozart e Da Ponte acquistava un peso sempre più considerevole e assoluto nei valori attribuiti al teatro musicale del tardo settecento. Semmai ci si può ancora oggi dolere della scarsa considerazione pratica (leggi assenza di cariche ufficiali e ben remunerate all’interno della Corte viennese) che fu tipica dell’ultima fase della vita di Mozart e, per contro, della munifica carica che l’Imperatore volle accordare a Cimarosa in seguito al grande successo del “Matrimonio”. Ma il regno dello stesso Leopoldo II fu brevissimo (l’Imperatore morì il primo Marzo di quello stesso 1792) e Cimarosa fece ritorno a Napoli dove tra le altre cose si imbarcò sciaguratamente nel sostegno alla rivoluzione del 1799.
Dobbiamo quest’anno al Festival della valle d’Itria uno dei tanti recuperi moderni di un’opera che non vanta ancora una vera e propria edizione critica e che è stata messa in scena secondo l’edizione pubblicata da Ricordi nella revisione di Donatoni. Pierluigi Pizzi firma un allestimento godibilissimo (anche se non esattamente nuovo, essendo l’attualizzazione del contesto già avvenuta almeno una volta a Monaco una trentina di anni fa) e traduce in parte il soggetto ambientandolo nella casa del “ricco mercante” Geronimo, ora un collezionista d’arte che tiene appesi alle pareti quadri preziosi di Burri e Fontana. Gli altri cinque personaggi vengono innanzitutto vestiti con dovizia di abiti glamour (grazie anche alla Sartoria Latorre, che è tra i contributors del festival) che sottolineano anche la giovinezza e la bellezza fisica dei ruoli amorosi, e la struttura tripartita che dominava in maniera molto lugubre l’Ecuba di Manfroce, sempre nell’allestimento di Pizzi, si trasformava in una gradevolissima pianta del soggiorno di un appartamento lussuoso e funzionale arredato con poltrone Breuer e altri mobili d’autore. L’armonia dell’originale settecentesco rimane così intatta, ma si perdono per fortuna i contorni delle polverose vecchie ambientazioni di un tempo con trine e merletti in abbondanza, nonché le cadute di gusto che sottolineavano il carattere farsesco di taluni personaggi o situazioni. Vero è che il pubblico ancora oggi ride, e spesso, assistendo all’opera cimarosiana, mentre il sorriso mozartiano di fronte ai fatti della vita è notoriamente qualcosa di molto più raffinato e mescolato al dolore che scaturisce dal rimpianto delle cose perdute. La musica di Cimarosa – si veda ad esempio il famose terzetto «Le faccio un inchino» — è molto rassicurante, non sottintende problema alcuno, anticipa sempre un finale lieto.
Il giovane direttore Michele Spotti ha coniugato un visibile entusiasmo per la partitura cimarosiana a un controllo esatto della compagine orchestrale formata dai professori dell’orchestra del Petruzzelli. Spotti ha sottolineato, oltre all’impianto brioso della commedia, certe contaminazioni reciproche tra Cimarosa e Mozart che si possono ad esempio ascoltare nell’utilizzo in orchestra dei fiati e in genere nel respiro sinfonico della partitura. La compagnia di canto ha visto nella Carolina di Benedetta Torre forse la punta di maggior pregio, per virtù tecniche, bellezza del timbro, spigliatezza in scena. Il tenore Alasdair Kent affronta con la dovuta leggerezza il ruolo di Paolino e alcune piccole défaillances vocali sono state bilanciate da una notevole presenza scenica e una piena comprensione del carattere del personaggio. Vittorio Prato è altrettanto spigliato in scena e ha dalla sua una importante arma vocale, anche se il timbro molto particolare, la voce piena, risonante, si apprezza molto di più in una sala da concerto che nel contesto di un palcoscenico estivo. La Elisetta di Maria Laura Iacobellis è “cattiva” quanto basta secondo gli schemi dell’opera buffa e il soprano si merita una buona dose di applausi al termine della sua aria nell’atto secondo. Molto presente nel personaggio di Fidalma, Ana Victoria Pitts sopperisce a una vocalità non particolarmente di primo piano e a qualche problema nella sua aria di entrata con una indovinata rispondenza nei confronti del ruolo di donna di mondo solleticata da senili rigurgiti amorosi. Marco Filippo Romano è il cantante più “navigato” della compagnia ed è capace di tratteggiare con sicurezza e bravura un personaggio che di solito è interpretato in maniera troppo caricaturale. Applausi finali per tutti al termine di una serata piacevolissima.