Uno spettacolo sulla carta fin troppo ricco, in cui la componente di registrazione televisiva diventava l’elemento trainante
di Luca Chierici foto © Brescia&Amisano
In tempi grami come questi la programmazione di un titolo musicale completo, artefatto quanto si vuole in quanto a mescolanza di elementi registrati e dal vivo ma in sé consistente, ha il merito di riportarci a un’idea di normalità che poi è l’elemento più rassicurante per i nostri animi scossi dalla novità, dall’imprevedibile, dalle incertezze del non-ancora-vissuto. Il primo argomento di discussione che ha animato in questi giorni i media e i social (o meglio la loro componente dedicata alla musica colta, più precisamente al teatro lirico) è stato quello che contrapponeva la scelta di alcune organizzazioni di eseguire, pur con tutte le limitazioni del caso, dei titoli operistici completi (come è avvenuto ad esempio a Bergamo, Napoli e Roma) a quella scaligera che puntava invece su uno spettacolo quasi totalmente registrato e composto da una successione amplissima di singole arie e da estratti da celebri balletti cuciti assieme da una drammaturgia affidata alle idee di Davide Livermore.
È vero che la Scala aveva recentemente sofferto un problema di contagi a catena che sconsigliava la messa in scena di uno spettacolo tradizionale, ma siamo convinti che con quello che si è speso nel confezionamento dello spettacolo alternativo si sarebbe probabilmente potuto portare a termine quella recita di Lucia di Lammermoor che era stata prevista fino a non moltissimi giorni fa e che siamo sicuri Riccardo Chailly avrebbe di gran lunga preferito rispetto alla soluzione finale.
Si è voluto invece mettere in piedi uno spettacolo sulla carta fin troppo ricco, in cui la componente di registrazione televisiva diventava l’elemento trainante, con tutto quello che ne consegue dal punto di vista degli interventi della Rai in termini di presentazione al pubblico (senza infamia né lode la presenza del duo Carlucci-Vespa). Uno spettacolo dove, soprattutto, si notavano di più gli elementi mancanti rispetto a quelli, pur pregevoli, attinenti ai contenuti musicali. Al grande pubblico, e non solo, piace sicuramente ascoltare una dovizia di momenti musicali celebri interpretati dai migliori cantanti che possa offrire oggi il mercato, sostenuti da un direttore e da un’orchestra di prim’ordine. Piace vedere all’opera una compagnia di danza tra le migliori al mondo e i ballerini più straordinari che si siano visti sulle scene. Ma in mancanza di quello che è il collante più efficace (l’applauso del pubblico, le grida talvolta isteriche degli “appassionati”) si sarebbe dovuto organizzare qualcosa che andasse al di là degli interventi recitati da pur bravi attori per cancellare il senso angosciante di vuoto che si provava nel trapasso da un elemento in programma all’altro, nella visione di scenografie ripescate da vecchi allestimenti, con citazioni sceniche spesso artificiose a commento dei singoli momenti musicali.
Una carrellata di interventi simili può risultare persino noiosa, soprattutto perché è mancata questa sera proprio la componente di spettacolo, con tutti gli imprevisti del caso, persino con momenti di crisi che rendono però viva ed efficace qualsiasi esecuzione. Non basta attingere a fondi milionari atti a sostenere una successione di singoli momenti di eccellenza per confezionare uno spettacolo teatrale, e questo è stato il principale errore nella programmazione di questo 7 Dicembre che doveva essere serata di grande richiamo, e che lo sarà pure stata leggendo (sui social !) qualche commento nostrano ed estero. E lo spettacolo, se così si può dire, è avvenuto nella tranquillità delle proprie case, davanti a tivvù sempre più grandi e nitide, commentando con gli amici i singoli momenti attraverso l’uso di facebook e whatsapp.
Ma in quest’ultimo caso si trattava soprattutto del commento melomaniaco sul singolo cantante. Bravi tutti, molto bravi la Freni d’apertura (non si poteva trovare un video?) il Domingo tardivo (che è l’unico a interpretare ciò che canta e che il regista fa esibire davanti a ben 12-microfoni-12 di vecchio tipo per commentare ironicamente l’eccezionalità della presenza), e poi Luca Salsi, Ildar Abdrazakov, Ludovic Tezier, la Oropesa, la Opolais, Beczala, Bernheim … Più scontati o meno efficaci altri, ma pur sempre più che all’altezza del compito.
E l’elemento più riuscito della serata televisiva differita è stato sicuramente il finale del Tell rossiniano, per la qualità sublime della musica, per il fatto che per una volta si evitavano confronti tra cantanti solisti e – chissà – per avere ricordato al pubblico italiano vecchiotto la mai sorpassata sigla di chiusura delle trasmissioni Rai di una volta, che lasciava un poco di struggimento per la giornata che volgeva al termine ma che preludeva alla nascita di una nuova, piena di speranze.
Braaavooo. Ho letto con molto piacere, approvando tutto ciò che hai scritto. Tutto vero Applaudo la tua bravura, che, come sempre ci istruisce. Applausial mio caro amico, che mi insegna ciò che mi piace. Di nuovo bravo
Michela