di Luca Chierici
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opo poco più di undici anni dall’ultima rappresentazione scaligera, il teatro ha ritenuto opportuno riproporre il famoso titolo di Britten affidando la direzione d’orchestra a Simone Young,
recentemente protagonista di un applaudito concerto sinfonico, e l’allestimento scenico a Robert Carsen, indiscusso e geniale regista che si è avvalso della collaborazione dello scenografo e costumista Gideon Davey, delle luci dello stesso Carsen e di Peter Van Prate, della coreografia di Rebecca Howell e dei video di Will Duke.
Peter Grimes, su libretto di Montagu Slater a propria volta ricavato da un poemetto di George Crabbe era stato rappresentato per la prima volta a Londra nel Giugno 1945 ed era approdato un paio d’anni dopo anche alla Scala con la direzione di Tullio Serafin.
Nel soggetto contorto e interpretabile secondo diverse angolature, si narra del marinaio Peter Grimes accusato dai suoi concittadini di avere procurato la morte del proprio aiutante. Ci si muove in un un ambiente pieno di tensione all’interno del quale non viene mai avanzata esplicitamente l’ipotesi di un rapporto sadico di omosessualità tra il violento marinaio e i suoi sottoposti. La morte di un nuovo mozzo decreta però la condanna definitiva da parte del “gruppo” e l’allontanamento di Grimes dalla cittadina: egli deve morire in mare facendo andare a picco la propria imbarcazione.
Robert Carsen, geniale come sempre ha fatto un poco rimpiangere la precedente regìa di Richard Jones che sosteneva in maniera forse meno cervellotica e brutale la vicenda in occasione della messa in scena per la direzione di Robin Ticciati, che aveva siglato la versione scaligera dell’opera di Britten nel 2012. Le idee non mancano anche qui, beninteso, e se l’ambientazione della prima scena in un’aula di tribunale (che poi chiude al termine la vicenda, come se il processo a Grimes continuasse imperterrito anche dopo la presunta morte di quest’ultimo) non si discostava affatto da ciò che è richiesto nel libretto [“L’interno della Sala municipale trasformato per un’inchiesta giudiziaria preliminare.”] va dato atto a Carsen e allo scenografo di non avere voluto indulgere nella consueta serie di paesaggi marini che d’altro canto costituiscono parte non secondaria dell’ambientazione del soggetto. La scena principale, con le sue strutture lignee, si trasforma via via nella taverna dell’atto primo e secondo, nel contorno della chiesa, nella capanna di Grimes. Piuttosto, la parte superiore dell’ambiente diventa un motivo di proiezione di filmati che esibiscono il volto sconcertato di Grimes e l’immagine del primo mozzo morto in mezzo a un enorme mucchio di pesci, bottino della prima caccia. Grande importanza ha la presenza del coro, ossia il nucleo di abitanti che concorrono alla alimentazione della tensione parossistica nei confronti di Grimes, vittima sacrificale. Così come insostituibili sono le figure di Ellen, unica donna che tenta una difesa nei confronti di Grimes, del Capitano Balstrode, di Swallow, irreprensibile giudice e di Mrs. Sedley, bigotta e maligna acusatrice.
Simone Young ha portato a termine con perizia e coinvolgimento personale il non facile compito nel tenere le fila della vicenda dal punto di vista della concertazione e direzione dell’insieme, egregiamente aiutata dal magnifico coro diretto da Alberto Malazzi e dalla presenza di protagonisti di grande valore. Di grande impatto è stata la lettura dei famosi intermezzi orchestrali e soprattutto della intensa Passacaglia. Brandon Jovanovich ha contribuito a delineare un Grimes assertivo ma anche tutt’altro che convinto nel proprio ruolo di spietato carnefice nei confronti della vita dei due mozzi. Nicole Car si è spesa nel difficile ruolo di sostenitrice della personalità controversa del protagonista. Olafur Sigurdarson (Balstrode), Natascha Petrinsky (Sedley) e Peter Rose (Swallow) erano tra gli altri perfettamente in linea nei rispettivi ruoli.