La ricerca di titoli appartenenti a una tradizione che affonda le proprie radici nel primo ’700 napoletano ha portato quest’anno il Festival della Valle d’Itria a ripescare un’opera di una certa rarità che pone dei problemi di tipo letterario, musicale e in senso lato psicanalitico. La Griselda musicata da Alessandro Scarlatti su libretto di Apostolo Zeno deriva da un testo di estrema complessità che chiude il Decameron di Boccaccio, l’ultima novella narrata da Dioneo. Una novella che già il Petrarca definiva “di gran lunga differente dalle precedenti” e che lo incuriosì a tal punto da prepararne una versione in lingua latina.
Il tema originale della novella era sì quello della cortesia e della magnanimità ma il protagonista, Gualtieri marchese di Saluzzo, spinge talmente in là le prove crudeli escogitate per mettere alla prova la fedeltà della giovane moglie Griselda da trasformare il rapporto tra i due in una sorta di legame perverso che sconfina in ciò che molto più tardi si sarebbe chiamato un gioco sado-masochistico. C’è un lieto fine, d’accordo, ma raggiunto attraverso una serie di prove talmente penose da far dubitare del senno del terribile marchese. Il carattere particolare della novella viene sottolineato nel testo del libretto di Apostolo Zeno e ancor di più dalla musica di Scarlatti,che sembra procedere per discontinuità, per salti improvvisi che rendono il lavoro ancora più arduo da considerare nel suo insieme.
L’impianto registico di Rosetta Cucchi potrebbe quasi essere considerato come un elaborato ideale per un concorso dedicato alla regia del teatro d’opera, tanto difficili sono i rapporti tra testo, musica e azione che innervano il complesso di relazioni tra i protagonisti. Le scene di Tiziano Santi e i costumi di Claudia Pernigotti hanno da parte loro contribuito a forzare i lati più oscuri del soggetto e a creare un clima di angosciante attesa che ha quasi intimorito il pubblico che assisteva allo spettacolo. Allo stesso modo la Cucchi ha insistito però sul lato “positivo” del carattere della protagonista, fragile e forte nell’affrontare con abnegazione le due prove cui viene sottoposta dal marito.
Griselda è stata oggetto di scelta nell’anno del trecentesimo anniversario del debutto, avvenuto al Teatro Capranica di Roma nel 1721. La partitura scarlattiana è stata presa per mano dal direttore greco George Petrou, già presente a Martina nel 2019 con l’Orfeo di Porpora, secondo l’edizione critica preparata dal musicologo Luca Della Libera con il complesso La lira di Orfeo, fondato dal controtenore Raffaele Pe, applauditissimo protagonista. Pe esibisce in questo lavoro una trasformazione di carattere per nulla facile che in un certo senso contrasta con il virtuosismo vocale della parte, ma più spesso accende gli sfoghi estremi del ruolo stesso con emissioni irrobustite svelando aspetti inediti di una tipologia vocale molte volte votata a contenuti decisamente più arcadici. Carmela Remigio ha risolto il carattere ambivalente del personaggio puntando sull’espressione di una vocalità che esibiva tratti di un patetismo accorato ma anche toni assertivi che si traducevano in una notevole fermezza di emissione. Non facili anche le parti dei comprimari, nelle quali si sono spesi senza risparmio di energie Francesca Ascioti (Ottone), Mariam Battistelli (Costanza), Krystian Adam (Corrado), Miriam Albano (Roberto) e Carlo Buonfrate (Everardo), applauditi tutti dopo un primo momento di assuefazione del pubblico alla vicenda e ai tratti inconsueti della musica di Scarlatti. Musica che inaspettatamente ha anche regalato l’inconsueto trattamento delle voci in duo, terzetto e quartetto a riscattare un andamento iniziale di parti singole e un lungo incipit di recitativi.
Solamente un anno prima – e qui si coglie ovviamente la volontà da parte di Alberto Triola, direttore artistico del festival, nel volere focalizzare un periodo ben preciso nello sviluppo del melodramma in Italia – Nicola Porpora terminava la sua Angelica, Serenata a sei voci e strumenti su testo del giovane Pietro Metastasio scritta a Napoli, allora vicereame austriaco, per celebrare il compleanno dell’Imperatrice Elisabetta Cristina. Difficile riaversi dallo stupore derivato dall’ascolta della Griselda e trovarsi di fronte a una musica d’occasione, pure ispirata dal clima dell’Orlando furioso e arricchita da episodi secondari che tirano in causa lo sviluppo di un amore parallelo, anche se di levatura inferiore rispetto a quello di Angelica e Medoro, quello di Licori e Tirsi.
Il carattere arcadico dell’insieme, la presenza di lunghi recitativi secchi sono parzialmente compensati soprattutto dal carattere delle arie dedicate a Orlando e da una certa vivacità strumentale segnata dall’intervento dei fiati o nell’accompagnamento obbligato del violoncello o del flauto dritto in un paio di arie particolarmente ispirate. Ma qui, più che nella Griselda, conta l’opportunità di potere usufruire della presenza di interpreti vocali di prim’ordine e allo stesso tempo attenti alla definizione del carattere dei personaggi (protagonista della prima esecuzione fu il mitico Farinelli).
Sotto questo punto di vista la serata è stata dominata dall’arte di Teresa Iervolino, Orlando di grande spessore e di Ekaterina Bakanova, Angelica elegante e determinata nel difendere il proprio amore per Medoro (la brava Paola Valentina Molinari). Protagonisti di una sorta di teatro nel teatro, Gaia Petrone, Sergio Foresti e Barbara Massaro hanno dato voce ai ruoli di Licori, Titiro e Tirsi. Federico Maria Sardelli ha guidato il complesso de La lira di Orfeo, con esattezza e notevole precisione filologica, senza peraltro elevare a capolavoro assoluto un momento certamente importante nello sviluppo del melodramma settecentesco ma non così peculiare come era stato il caso della Griselda.
Qualcosa di più ci si sarebbe aspettato da Gianluca Falaschi per il complesso di regìa, scene e costumi: molte idee che non sono riuscite a guidare lo spettatore all’interno delle complesse vicende che regolano questo come molti altri libretti di opere del periodo. Si rimpiange anche l’assenza di una vera e propri ventata di novità nell’intervento coreografico della Fattoria Vittadini guidata da Mattia Agatiello, che ricordavamo attivi protagonisti degli spettacoli messi in scena nell’edizione 2014 del Festival.