La città romena, importante crocevia di culture, vive oggi una realtà musicale vivacissima. Viaggio nel Teatro principale, sede dell’opera, in attesa dei festeggiamenti per i 65 anni di attività operistica con il Faust di Gounod
di Elena Filini
T imișoara ha un profilo insolito. Le sue larghe strade lastricate, le piazze eleganti, i bei colonnati ed i palazzi di evidente ispirazione asburgica sono incastrati, senza soluzione di continuità, a chiari monumenti al realismo socialista, blocchi di cemento armato che raggelano l’algida bellezza dei luoghi, placche di travertino applicate alle facciate gentili per occludere l’opulenza di Timișoara l’indomita, così poco amata da Ceauşescu e dal regime.

Cinquant’anni di comunismo, un nuovo corso tribolato e ancora tutto da valutare non hanno tuttavia potuto cancellare l’aspirazione estetica dei luoghi, la fame vorace di cosmopolitismo e il consumo oggettivo e quotidiano di arte. Porta altera le sue enormi contraddizioni e resiste, nonostante il peso di un’inflazione che non intende risparmiare questo lembo estremo e nuovo di Europa. Il cuore di Timișoara è il teatro, un edificio di immenso valore simbolico che affaccia su piazza della Vittoria e contiene quattro stabili: il teatro dell’opera, il teatro nazionale romeno, il teatro in lingua magiara ed il teatro in lingua tedesca. Dalla balconata che guarda la piazza è nata la sollevazione popolare che si è propagata per tutto il paese ed ha portato, nel 1989, alla destituzione di Nicolae ed Elena Ceauşescu. Il teatro è oggi monumento nazionale e la bella facciata ottocentesca coperta da due blocchi di marmo nel dopoguerra (gentile cadeau del dittatore) porta venature profonde. Sono i colpi sparati dalla polizia politica contro i manifestanti nei primi giorni di quel dicembre che avrebbe cambiato il profilo politico della nazione. Ma le drammatiche settimane dell’89 sembrano oggi lontane e la balconata si accende durante gli intervalli dell’opera, improvvisato foyer en plein air. Succede almeno un paio di volte a settimana, perché qui la lirica non è (ancora) parcellizzata. In maggio poi, durante il festival, vecchi allestimenti si alternano a produzioni più recenti: in una settimana si possono rappresentare Un Ballo in maschera (allestimento un po’ datato) e Tosca (senza dubbio produzione più equilibrata per progetto e cast). Quest’anno l’opera romena festeggia i 65 anni di attività. Fu infatti nel 1947 che con Aida si inaugurarono le attività di quello che sarebbe diventato il polo più internazionale del Paese, fisicamente più aperto agli influssi da Serbia, Ungheria, Austria. Dal 2000 l’opera è retta da Corneliu Murgu.

Il tenore romeno, dopo 25 anni di carriera internazionale (l’avvio è stato la vittoria al concorso Toti dal Monte di Treviso nel 1978) è rientrato in patria dopo la caduta del regime e, con regolare concorso, ha avuto accesso alla Sovrintendenza. Il suo primo obiettivo: levare quella patina di gusto “veteroregime” nelle produzioni, migliorare l’approssimazione delle regie e allestire titoli in lingua originale. «Dopo aver studiato al Conservatorio Cherubini di Firenze, e con la vittoria al Toti dal Monte la mia carriera internazionale ha preso avvio. Ho avuto la fortuna di cantare con una generazione di professionisti di immenso talento, con i quali ho condiviso la scena: Fiorenza Cossotto, Piero Cappuccilli, Montserrat Caballè, gli amici Josè Carreras e Placido Domingo. Dopo l’Italia ho vissuto per quindici anni a Vienna e per dieci a Montecarlo. Quando si seppero i fatti della rivoluzione, il 25 dicembre, ero a Nizza a cantare Cavalleria e Pagliacci. Il giorno dopo, il 26 a Parigi tenemmo un grande galà per la liberazione dalla dittatura. Poi il 30 gennaio 1990 a Vienna un cast stellare salutò la nuova Romania: c’eravamo io, Agnes Baltsa, Claudio Abbado, Ileana Cotrubas, Cheryl Studer, Placido Domigo, Josè Carreras, Samuel Ramey» spiega Murgu. «Poi nel 1997 tornai a Timișoara, mia città natale, per fare una produzione gratuita di Aida, in occasione dei festeggiamenti per i 50 anni dall’apertura del Teatro. Nel 2000 decisi di tornare e dopo un regolare concorso al Ministero della cultura di Bucarest, mi venne affidata la guida del Teatro». Oggi l’opera romena di Timișoara è una realtà di 265 lavoratori. La politica di Murgu è stata soprattutto quella di cercare un adeguamento allo standard dei teatri occidentali. L’attività si concretizza in una media di 70/80 spettacoli l’anno incentrati essenzialmente sul repertorio italiano, rigorosamente cantato in lingua originale, più qualche data di balletto e alcuni concerti barocchi.

Il teatro realizza tre tournée annuali, due in Germania ed una in Olanda, propone il festival estivo (destinato alla città e gratuito) al Parco delle Rose con sei opere, operetta e gran galà lirici. Anche sotto il profilo artigianale, l’opera di Timișoara è un grande cantiere nel cuore della città, dotato di sala falegnameria, sala fabbri, due sartorie, calzolaio, pittori e decoratori. Stabili e stipendiati dal Ministero non sono soltanto il coro, l’orchestra ed il corpo di ballo, ma anche (sul modello tedesco) una troupe di solisti, un maestro del coro e tre maestri sostituti. I finanziamenti all’Opera arrivano direttamente da Bucarest, mentre la bella sala, ispirata a modelli paleocristiani, è in coabitazione con il teatro d’arte drammatica, che allestisce i suoi spettacoli nei giorni pari della settimana. Il risultato è una programmazione davvero ricca, con recite quasi quotidiane. Il grande impatto di rinnovamento dato da Murgu al teatro si è concretato nella presenza di due giovani italiani come ospiti principali alla direzione e alla regia: David Crescenzi e Mario de Carlo. David Crescenzi, marchigiano di Porto Recanati, ha 42 anni. Ha incontrato Corneliu Murgu e i complessi di Timișoara nel 2002 in Qatar.
«A quel tempo ero altro maestro del coro al San Carlo di Napoli – spiega – Ho collaborato saltuariamente con Timișoara nei primi anni, poi ho lasciato il San Carlo ed oggi trascorro l’inverno qui in Romania per poi rientrare d’estate in Italia dove dirigo il coro dello Sferisterio di Macerata. Qui ho avuto un’orchestra laboratorio che suonava essenzialmente un repertorio tedesco e slavo e praticava poco il repertorio italiano. Ho cercato di portare qui la tradizione operistica italiana, con le opere in lingua originale, lavorando molto sulla dizione e sul fraseggio coi cantanti. È un fatto di scelte: se fossi rimasto a Napoli oggi forse sarei direttore di palcoscenico del San Carlo, ma io desideravo dirigere ed in Italia nessuno mi ha dato le opportunità di crescita professionale che ho trovato qui». Mario de Carlo regista, costumista e scenografo è nato a Reggo Calabria. Dopo gli studi di lettere alla Sapienza a Roma, gli atelier di pittura e un’impagabile bagaglio di esperienze di bottega da Sormani e Susanna Brancato a Milano, arriva a Timișoara nel 2006 come osservatore su invito di Murgu. Il primo contratto nel 2007 con un’applauditissima Bohème. Da allora ha firmato alcuni dei maggiori allestimenti dell’opera di Timișoara, dal Barbiere di Siviglia a Nabucco, passando per la prima messa in scena di Adriana Lecouvreur in Romania (nel 2011). «Dopo la laurea l’alternativa era tra iscriversi all’Accademia o scegliere il lavoro di bottega. Ho optato per questa seconda ipotesi, finché Ferruccio Villagrossi non mi ha voluto con sè come suo assistente avviandomi definitivamente alla regia».

De Carlo ha rivoluzionato le messe in scena di Timișoara portando l’artigianato d’arte in teatro. «Avendo a disposizione un numero così alto di maestranze è stato stupendo poter lavorare insegnando qui la tradizione artigianale italiana. Facendo comprendere la cura dei dettagli, la necessità di fondali dipinti e prospettici e soprattutto l’uso di stoffe nobili per gli abiti» ci spiega. «Impagabile, sotto il profilo professionale, la fiducia datami da Corneliu Murgu e dall’opera. Dopo aver presentato e discusso il progetto, il teatro mi lascia l’assoluta libertà e responsabilità sulle scelte, facendo i salti mortali per mettermi nelle condizioni migliori, in termini economici e di adesione al progetto, per lavorare».
Ora De Carlo sta preparando la main opera per i 65 anni del Teatro dell’Opera romena. Si tratta di Faust di Charles Gounod, titolo che da molti anni manca dal cartellone e che debutterà in ottobre con il basso italiano Roberto Scandiuzzi nei panni di Mefistofele. «Il mio Faust è ispirato ai quadri di Bruegel il Vecchio, con stoffe pesanti e grezze, lane e boucler, e una palette di colori densi, terrosi con punte di rosso e nero.I miei allestimenti hanno sempre scoperte allusioni pittoriche: in questo caso il fondale del secondo atto, ispirato alla celebre tela del maestro fiammingo Lotta fra Carnevale e Quaresima». Ma non di sola opera lirica palpita la città sul fiume Timi. Il consolato italiano è promotore di molte iniziative. Gloria Gravina, pescarese, ex docente di liceo, qui insegna lingua e letteratura italiana all’università dell’Ovest e da quest’anno tiene un corso di dizione italiana all’Università della musica. È lei il poliedrico addetto culturale dell’ambasciata. La sua rete di relazioni ha portato, tra le altre, alla firma di un protocollo d’intesa con l’Estate musicale Frentana vedrà in Italia, i prossimi 20 e 21 giugno, l’orchestra da camera dell’Università dell’Ovest di Timișoara.

«La necessità di aprire uno scambio di competenze culturali come seconda fase di una fitta relazione di trame economiche- spiega Stefano Mistretta, console generale d’Italia a Timișoara- riguarda il naturale sviluppo delle relazioni tra l’Italia e la città romena. Solide, storicamente documentate, hanno prodotto un fenomeno economico in fase di oggettiva decrescita, cui è necessario rispondere con nuove iniziative rivolte alle arti ed ai saperi». Dan Lazea è uno dei quattro pro rettori dell’Università dell’Ovest di Timișoara. Ha 38 anni, un’età in cui in Italia si è ancora ricercatori precari con stipendio di 900 euro al mese. Laureato in scienze politiche, con un dottorato all’università di Torino ribadisce «L’unversità dell’Ovest è solo una delle quattro università della città (che ha 360 mila abitanti e 50 mila studenti universitari). Noi ci occupiamo delle facoltà umanistiche tradizionali ma abbiamo inglobato anche le facoltà artistiche. Abbiamo un master in cultura e civiltà italiana e i corsi di lingua italiana: consideriamo la cultura un ottimo investimento anche in termini economici».
Dell’Università dell’Ovest fa parte la Facoltà di musica, omologo del conservatorio in Italia, che cura la fase finale degli studi musicali. Ancora più strategico per la didattica in Romania è però il liceo musicale. I risultati di una didattica centrata sulla tecnica e gli studi di armonia e composizione sono evidenti ad occhio esterno in alcune tipiche situazioni pubbliche, molto diffuse in questa fascia di apprendimento: i concorsi. A Timișoara la prima settimana di maggio si tiene da 10 anni il premio “Alma Cornea Jonescu” un concorso euroregionale che investe Ungheria, Serbia, Romania.I candidati sono studenti di canto, violino, pianoforte, dai 14 ai 18 anni. Rimanendo nel campo del canto lirico, la loro preparazione globale al compimento della maggiore età è pari al livello di un nostro candidato di corso medio, che in Italia nello specifico si raggiunge ad una media di 22/24 anni. Il sistema educativo musicale in Romania infatti retrodata l’orologio dell’apprendimento di almeno 5 anni. Per questo motivo sul piano puramente anagrafico saremo sempre meno dei competitor credibili. Questi studenti – se non decideranno di uscire dalla Romania (come alcuni, anzi molti scelgono) – con buona probabilità verranno infine assorbiti dalle maestranze dell’opera o dall’Orchestra sinfonica del Banato o dalle molte realtà didattiche sul territorio, con stipendi modesti ma sufficienti a vivere con dignità la professione. Poi ci sono le eccezioni, che non fanno statistica ma molto dicono dell’humus culturale in cui vengono selezionate e custodite. Tale è infatti la prova di Alin Buruiana, controtenore di 16 anni del liceo musicale Sabin Dragoi di Arad. E se Alin è senza dubbio ingiudicabile con le normali categorie didattiche, di grande interesse è anche nella globalità la prova degli studenti del Collegio nazionale di arti Ion Vidu di Timișoara. Allevati con attenzione e passione da un corpo di insegnanti di nuova generazione coordinati dal professor Daniel Zah, cresciuti nell’amore per la lingua Italiana, questi studenti credono ancora nel miraggio dell’Italia come l’Eldorado dell’opera. A volte meglio non doversi risvegliare…
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