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Interviste • Il musicista pisano parla del suo nuovo cd intitolato “Carnaval”, tutto dedicato a Schumann e appena pubblicato da Decca, rivela le ragioni delle sue scelte e i progetti futuri
di Mario Leone
M aurizio Baglini, pianista pisano, ha da poco inciso per Decca un cd monografico tutto dedicato a Robert Schumann, dal titolo Carnaval. Nel mese di gennaio presenta il suo lavoro nelle librerie Feltrinelli delle maggiori città italiane. La sua presenza a Roma è stata l’occasione per porgli alcune domande.
Variazioni Abegg, Papillons, Carnaval e Carnevale di Vienna. Come nasce questo nuovo progetto discografico?
«Nasce da motivazioni diverse, prima di tutto personali. In particolare, il Carnevale di Vienna e Carnaval op. 9 hanno rappresentato tappe importanti nella mia vita pianistica. Il primo lo suono da quando ero bambino e quando avevo quattordici anni la sua esecuzione mi permise di vincere un pianoforte a coda al Concorso Clementi. Il secondo è il pezzo da me suonato nel debutto concertistico in Germania. Sono due tappe importanti che ricorderò per sempre. Poi c’è una ragione dettata dalle circostanze contingenti. Una major come Decca, che ha prodotto il cd, chiede dei programmi monografici perché dischi antologici sono difficilmente collocabili sugli scaffali. Questa necessità del produttore ha coinciso con il mio vivo desiderio di incidere un disco su Schumann che sento l’autore più vicino a me».
Qual è il suo rapporto con la musica schumanniana?
«Lo definirei intrigante. Schumann ha espresso come nessuno gli ideali di quel romanticismo estremo in cui l’essere umano cerca di far valere i propri sentimenti e il proprio pensiero, coniugati con una forza tale che l’individuo deve superare la collettività. Quello che più mi sorprende è la presenza in ogni suo pezzo di qualche mistero irrisolto. Pensi alle Sinfonie nelle quali i direttori sono costretti a riscrivere l’orchestrazione (per esempio nelle parti delle viole) perché Schumann era un grande genio ma un pessimo strumentatore. Il Concerto per pianoforte che ha la famosissima emiola nel finale che non si sa come dirigere o concertare: in tre quarti o come una grande battuta da tre mezzi. Nel Carnaval op. 9 le “Sfingi” vanno suonate o no? Cosa sono? Guardi, potrei andare avanti ancora citando Papillons, gli Studi sinfonici, la Terza sonata. Non c’è mai un caso in Schumann in cui tu possa aprire uno spartito e, senza documentarti rispetto a relazioni extramusicali, tu possa suonarlo in una maniera serena che non ti ponga problemi. Questo è oro per un interprete ed io spero vivamente di poter affrontare, nel corso della mia vita, tutto la sua produzione pianistica».
Le opere che lei ha inciso racchiudono tutto il tormentato mondo interiore del compositore tedesco, fatto di maschere, visioni, richiami. Questi elementi come hanno influenzato le scelte interpretative del disco?
«Schumann è un personaggio dalla doppia personalità, si pensi a Eusebio e Florestano, ma anche uomo dalla sensibilità assoluta, che ha vissuto fino in fondo ogni minimo cesello dei propri sentimenti, morendo senza avere un riconoscimento: tutti sapevano chi fosse ma non è mai riuscito a guadagnare dal proprio lavoro. Ancora oggi è un artista che fatica a far capire quanto siano estreme le risorse sentimentali dentro ognuno di noi. Tutto questo diviene linfa vitale per l’interprete chiamato a confrontarsi con una partitura schumanniana. C’è un nota bene. Nell’affronto della sua musica ci sono due elementi imprescindibili: la dimensione del fanciullo, luogo dove risiedono i sentimenti più puri, e la dimensione della fantasia. Schumann ha coniato il termine fantasieren. L’essere umano privo di fantasia che non sappia sognare, che non colga il valore di questi elementi, non ha motivo di esistere».
Oggi, per vivere di concertismo come faccio io, bisogna avere delle idee nuove e trovare degli spazi che altri non occupano
Già da tempo lei esegue in concerto (oltre ad averla incisa) la Nona sinfonia di Beethoven nella trascrizione di Liszt. Può raccontarci da dove nasce questo progetto monumentale e quali sono le reazioni del pubblico?
«Oggi, per vivere di concertismo come faccio io, bisogna avere delle idee nuove e trovare degli spazi che altri non occupano. O suoni in maniera straordinaria un repertorio ordinario o suoni delle cose straordinarie cioè extra-ordinarie, non necessariamente migliori di ciò che è ordinario. Il concertismo è saturo, diminuiscono le associazioni e gli spazi di diffusione capillare e quindi io mi cimento in cose che magari gli altri non hanno voglia, tempo o coraggio di fare. Nello specifico la Nona di Beethoven, composta da duecentootto pagine, un’ora e cinque di musica con centoventi strumenti, un coro, quattro voci soliste, il direttore, tutto questo messo sotto dieci dita. Questi programmi monumentali sono anche una prova di bravura, oserei dire di atletica, che incuriosisce il pubblico. Io ho eseguito in uno stesso recital tutti gli Studi di Chopin e la Nona di Beethoven nella stessa serata. È un concerto fiume, ma se hai voglia di introdurlo come momento non punitivo, nel quale la gente veda lo sforzo emotivo, intellettuale e fisico che c’è dietro, c’è un fattore di gratificazione anche per il pubblico».
Lei è molto attento al lato divulgativo/didattico, mi riferisco alle lezioni-concerto che tiene puntualmente presso il Palazzo Reale di Pisa: cosa secondo lei occorrerebbe al nostro Paese che, per alcuni aspetti, sembra aver dimenticato la propria storia musicale?
«Ho vissuto molti anni in Francia e ho frequentato parecchio la Germania come artista rendendomi conto che da noi manca un aspetto fondamentale: la differenziazione tra studio dilettantesco e studio professionale. Dove per dilettante non si intende uno che fa male qualcosa, ma che semplicemente decide di seguire un corso di studi ridotto. In Germania conosco dentisti o avvocati che suonano il pianoforte splendidamente e le assicuro che spesso sono molto più competenti dei nostri professionisti. Bisogna riportare lo studio del pianoforte e più in generale della musica al livello del Trivium e Quadrivium, dall’età di quattro anni in poi. Credo che in Italia, se continuiamo così, i Conservatori saranno smantellati e rischiamo seriamente che la musica sparisca dal nostro vocabolario quotidiano».
Progetti futuri?
«Un progetto a cui credo molto è web piano, il multimedial associato alla musica nato dalla collaborazione con Giuseppe Andrea L’Abbate. L’esordio è avvenuto appunto con Carnaval di Schumann: io lo suonavo dal vivo e venivano proiettate in sincrono opere multimediali, forme di arte contemporanea. Questo tipo di progetto ha il vantaggio di richiamare molto pubblico che abitualmente non frequenta concerti tradizionali e viene molto apprezzato dai non addetti ai lavori, mentre questi ultimi si lamentano sempre che il concertismo ha bisogno di formule nuove ma poi, di fronte ad un progetto di questo tipo, storcono il naso. Non solo. Anche le società di concerti rifiutano questo tipo di operazioni, salvo poi lamentarsi di non avere pubblico, abbonati o sovvenzioni. Mentre viene accolto a braccia aperte da istituzioni museali o extramusicali. Questo è un modo di portare la musica dove non è mai passata. Oltre a Carnaval, del progetto web piano fanno parte Quadri di una esposizione di Musorgskij-Ravel e la Sonata per due pianoforti, percussioni e celesta di Béla Bartók che eseguo con il pianista Roberto Prosseda. Quindi il multimedial associato alla musica ha già tre titoli molto importanti che spero di poter proporre sempre più spesso. Poi, nel 2013 festeggerò i sessanta Concerti (sessanta titoli, per intenderci) per pianoforte e orchestra eseguiti e in questo stesso anno realizzerò per Decca un disco dedicato alle Sonate di Domenico Scarlatti, che considero un genio assoluto».
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