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Decreto Franceschini: è presto per stappare lo champagne

di Giuseppe Pennisi
25 Maggio 2014
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Dario-Franceschini-


La misura recentemente approvata aiuterà la musica? Il percorso tecnico sembra andare nella giusta direzione, concedendo sgravi fiscali al contributo dei privati. Poi bisognerà confrontarsi con la mentalità delle aziende che, secondo uno studio del 2010, preferiscono elargizioni a fini sociali


di Giuseppe Pennisi


Grande festa la sera del 23 maggio in Piazza Beniamino Gigli dove ha sede il Teatro di Roma Capitale, nuova denominazione del Teatro dell’Opera, In mattinata è stato approvato il decreto legge che, oltre a dare un’allocazione supplementare del Fondo Unico per lo Spettacolo (FUS), alla fondazione lirica romana (che ha attuato una severa cura economica negli ultimi mesi), le conferisce uno stato ‘speciale’, tale da consentire programmazione triennale delle attività.

«Si tratta – hanno affermato il Sindaco di Roma e Presidente della Fondazione Ignazio Marino ed il Sovrintendente  Carlo Fuortes – di un primo importante passo per il riconoscimento dell’alto valore del Teatro e dei suoi complessi artistici che, sotto la direzione del Maestro Riccardo Muti ha raggiunto livelli di eccellenza». Il decreto legge prevede che, “per valorizzare e sostenere le attività operistiche nella Capitale, la Fondazione Teatro dell’Opera di Roma assume il nome di Teatro dell’Opera di Roma Capitale”. Muti ha fatto loro eco dal Giappone dove è in tournée con la compagnia.

Sulla stessa linea il Presidente della Fondazione del Teatro La Fenice, nonché Sindaco di Venezia, professor Giorgio Orsoni, che si è espresso anche in veste di Coordinatore delle Città Metropolitane. «Il decreto del Ministro Dario Franceschini che consente la defiscalizzazione del 65% del contributo dei privati alle Fondazioni degli enti lirici è un sostanziale passo in avanti compiuto dal Governo in favore della cultura  musicale italiana».

«Finalmente – aggiunge Orsoni – c’è un governo che va nella direzione giusta della valorizzazione del rapporto tra pubblico e privato». Relazione che non può che essere sostanziata da un intervento che, come questo, dà la possibilità, se non a tutti, almeno alla maggioranza dei Teatri d’opera di proporre quelle partnership con il mondo delle aziende, degli stake-holders e dell’industria che, legittimamente, si chiedevano quale potesse essere il loro vantaggio fiscale rispetto alla manifesta volontà di contribuire al rilancio di una delle più importanti manifestazioni culturali del nostro Paese.

Un altro elemento positivo nel decreto del governo è riscontrabile nell’aumento del fondo a disposizione per i Teatri che hanno chiesto il riconoscimento dello stato di crisi , un provvedimento che ci auguriamo si accompagni alla creazione di quel fondo di rotazione auspicato dalle Fondazioni che, invece, non hanno voluto accedere al fondo perché con i bilanci in regola. Si potrebbero citare altre dichiarazioni anche se la prudenza consiglia di attendere la firma del decreto dal Presidente del Consiglio e la promulgazione prima di analizzare il testo e la ‘relazione tecnica’ della Ragioneria Generale dello Stato per individuare quali saranno le coperture di spese aggiuntive o di mancato gettito tributario.

Il decreto legge – di cui circolano bozze ed anche la versione del testo approvato dal Consiglio dei Ministri – prevede principalmente incentivi tributari per le donazione di privati per la cultura, chiamati ‘Artbonus’, oltre ad altre materie (quali un commissario alla Reggia di Caserta, tre milioni per i comuni che faranno attività culturali nelle periferie urbane, e misure a supporto del turismo). L’ Artbonus è modellato sull’ Ecobonus, in vigore da anni per impianti ed altre attività ad alto contenuto ecologico. È solo in parte una novità: da anni esistono sgravi tributari (una detrazione del 19%) per individui ed aziende che vogliano fare elargizioni liberali a varie attività con finalità socio-assistenziale o culturali, elencate in decreti applicati. Nel 2009 una Commissione ministeriale propose di portare la detrazione al 30% (media allora degli Stati più avanzati dell’Unione Europea- in effetti UE a 15). Non se fece nulla a ragione dell’opposizione del Dipartimento delle Politiche Fiscali del Ministero dell’Economia e delle Finanze poiché avrebbe comportato una perdita di gettito ritenuta eccessiva. Si tentò di coniugare la detrazione con un ‘plafond’ annuo stabilito del Parlamento (su proposta del Governo). Il nodo fu come applicare il ‘plafond’ dato che il Ministero dei Beni e delle Attività Culturali ha smantellato nel 2005 la propria unità di valutazione. La procedura più ‘ efficiente’ parve essere quella allora in atto per le energie alternative: ordine di presentazione della domanda previa una valutazione più amministrativa che tecnica della richiesta. Comunque non se ne fece nulla. Occorre ricordare che le prime proposte di incentivi tributari alle attività culturali risalgono al 1985-86; allora si puntava a deduzioni dal reddito imponibile non di detrazioni d’imposta.

La strada adesso scelta (salvo verifica quando sarà promulgato il decreto) sarebbe un credito d’imposta del 65% in tre anni, analogo, per molti aspetti, al tax credit Bondi (dal nome del Ministro che lo ha introdotto) per il cinema. Lo conferma, indirettamente, il raffronto con la Francia fatto dal Ministro Franceschini in conferenza stampa; in Francia sono in vigore deduzioni sino al 60% (in certi casi) che si applicano sul reddito imponibile non sull’ammontare dell’imposta da pagare. Se questo è il caso, la detrazione fiscale equivalente sarebbe attorno al 20-22% – più o meno in linea con quanto già in vigore. Ciò spiega perché le vestali dell’erario non si innervosiscono.

La misura porterà ad un aumento delle elargizioni liberali per l’arte dal vivo e per la musica? L’unico studio in materia (a noi noto) è quello pubblicato dall’Associazione Civita nel 2010 e fatto in collaborazione con il Dipartimento di Economia dell’Università di Roma La Sapienza: realizzato su un vasto campione di individui e di aziende (principalmente nel centro-nord) arrivava alla conclusione che gli italiani preferiscono di gran lunga elargizioni liberali a fini sociali (asili nido, residenze assistite per anziani, ricerca medica, formazione di inferiori, borse di studio a studenti bisognosi ma meritevoli) che quelle alla cultura. Tra queste ultime, i siti archeologici ed i musei erano preferiti alle arti dal vivo.

© Riproduzione riservata

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Giuseppe Pennisi

Giuseppe Pennisi

Nato a Roma nel 1942, ha avuto una prima carriera negli Usa (Banca mondiale) sino alla metà degli Anni Ottanta. Rientrato in Italia è stato Dirigente Generale ai Ministeri del Bilancio e del Lavoro e docente di economia al Bologna Center della Johns Hopkins University e della Scuola Superiore della Pubblica Amministrazione di cui ha coordinato il programma economico dal 1995 al 2008. Frequente collaboratore di quotidiani e periodici, scrive regolarmente per Avvenire. È Consigliere del Cnel in quanto esperto nominato dal Presidente della Repubblica ed insegna alla Università Europea di Roma. Ha pubblicato una ventina di libri di economia e finanza in Italia, Usa, Gran Bretagna e Germania. Culture di musica classica, è stato Vice Presidente del Teatro Lirico Sperimentale di Spoleto e critico musicale del settimanale Il Domenicale dal 2002 al 2009; attualmente collabora regolarmente in materia di lirica al settimanale Milano Finanza ed al quotidiano britannico Music & Vision.

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