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Una «Tosca» di classe a Torino

di Attilio Piovano
11 Febbraio 2016
in OPERA, RECENSIONI
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Home OPERA
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In scena al Regio l’opera pucciniana in una nuova coproduzione con il Comunale di Bologna, per la regìa di Daniele Abbado. La voce di Maria José Siri delinea una protagonista d’impatto


di Attilio Piovano foto © Ramella & Giannese


UNA TOSCA INDUBBIAMENTE DI QUALITÀ E DI CLASSE, quella vista al Regio di Torino la sera di martedì 9 febbraio 2016, sia pure con qualche neo specie sul piano registico e quanto a direzione musicale. E allora innanzitutto i punti di forza dello spettacolo, andato in scena dinanzi ad una sala gremitissima (con la determinante sponsorizzazione di Reale Mutua), e si tratta di allestimento del Regio frutto di coproduzione col Comunale di Bologna (produzione originale: Hyogo Performing Arts Center di Nishinomiya, Giappone).

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Applaudita meritatamente Maria José Siri che ha saputo sbozzare una Tosca credibile ed autorevole sia sul piano vocale (un vero trionfo in «Vissi d’arte» cantata con eleganza e ottime emissioni, molte sfumature e sincera partecipazione emotiva), sia sul piano scenico, con momenti di forte impatto, già nel second’atto al cospetto del ripugnante Scarpia e poi nel finale dove ha raggiunto vertici di tragicità obiettivamente efficaci. Molto bene Roberto Aronica nei panni di Cavaradossi, appena qualche impercettibile esitazione in «Recondita armonia», è poi andato in crescendo convincendo appieno, il clou ovviamente nella toccante «E lucevan le stelle» che sempre innesca i lucciconi e la commozione; vocalità di gran classe, presenza scenica, insomma un Cavaradossi comme il faut. Davvero molto bene Carlos Álvarez, sul piano vocale, quanto a Scarpia: senza eccessi veristi (e spesso accade di incontrare baritoni che urlano e sbraitano), molta finezza psicologica e una vocalità davvero autorevole.


Impianto scenico sostanzialmente unico, ma di classe, con piattaforma girevole a centro palco (peccato non aver valorizzato i ponti mobili del Regio che sono un vanto tecnologico) e bianche colonne neoclassiche


Sul piano scenico lo avremmo voluto appena un poco più insinuante, più perfido, più cattivo, è parso fin troppo come dire ‘signorile’ per la parte di uno tra i personaggi moralmente più ripugnanti in assoluto dell’intera storia del melodramma. Un po’ eccessiva poi la sua recitazione nelle avances nei confronti di Tosca, ma poi muore con grande teatralità. Assai gradito il sagrestano di Roberto Abbondanza che ha saputo variare le corde di recitazione del personaggio con finezza ed intelligenza, evitando di calcare troppo sul comico e sul popolaresco e per contro evitando di farne un servile e vigliacco come talora accade; bene dunque, grazie ad una bella voce e ad una indubbia intelligenza interpretativa. Molto credibile e ‘partecipato’ l’Angelotti del valido Gabriele Sagona, incisivo e a tutto tondo.

Bene i comprimari, tutti allineati su un buon livello e dunque l’incisivo e corretto Luca Casalin (Spoletta, figura drammaturgicamente di impatto), Nicolò Ceriani (Sciarrone) e Lorenzo Battagion, un carceriere che al contrario di altri prende molto sul serio, come è giusto, la sua piccola (e pur drammaturgicamente rilevante) parte in apertura del terz’atto. I consueti problemi di intonazione e anche di poca udibilità (data la collocazione fuori scena) per il pastorello disimpegnato da Fiammetta Piovano (che non è legata da alcuna parentela con chi firma queste note, la precisazione è d’obbligo).

Dal podio Renato Palumbo ancora una volta, occorre dirlo, punta su volumi sonori spesso eccessivi, con turgori e fortissimi che in più d’un caso finiscono per coprire sciaguratamente le voci (già in parte penalizzate da una scenografia pur gradevole ma assai arretrata sul palco). Gli esempi potrebbero essere numerosi, ma ovviamente non c’è spazio per elencarli. Tempi ora sciolti e aitanti, ora singolarmente dilatati, col pregio di far emergere, come generosamente osservava, con finezza, una giovane e sensibile ascoltatrice, gli innegabili legami espressivi con altre figure femminili dell’universo pucciniano, a fronte di molti tratti in cui a prevalere era invece un eccessivo empito sinfonico. L’orchestra lo ha assecondato fin troppo bene fornendo una prova di rilievo e come sempre puntando su una ineccepibile professionalità collettiva anche se, ripeto, avremmo preferito più finezza, più delicatezza e più leggerezza in vari momenti dell’opera.

Impianto scenico sostanzialmente unico, ma di classe, con piattaforma girevole a centro palco (peccato non aver valorizzato i ponti mobili del Regio che sono un vanto tecnologico) e bianche colonne neoclassiche, impianto firmato da Luigi Perego che sigla anche costumi in bilico tra primo ’900 e anni Venti. Efficace la scena del Te Deum con la piattaforma che ruota e il coreografico movimento di chierichetti e prelati. Bella l’idea dello specchio inclinato per il second’atto col tavolo gradevolmente asimmetrico, specchio che poi scompare lasciando intravedere una fuga di sovrapporte dai quali esce Tosca dopo aver compiuto i gesti di rito (e dunque i candelieri ai piedi del cadavere, ma anche il coltello gettato a terra e le mani ripulite sommariamente nella tovaglia). Per carità, nulla di nuovo sotto il sole, o meglio nel chiuso della spazio teatrale, tutte cose in buona parte già viste; così come le proiezioni video in apertura del terz’atto (Luca Scarzella) sapevano di deja vu. Buone le luci di Valerio Alfieri (pur con alcune stranezze e allora certi fucsia, certi viola e perfino un giallo-verde acido che poco si armonizzavano con altri assai più riusciti momenti).

La regìa di Daniele Abbado muove bene i personaggi e si rivela di impatto, anche se alcuni dettagli (nemmeno troppo secondari) hanno destato perplessità: per dire, coraggiosa, o se si preferisce incauta e bizzarra l’idea di far cantare «Vissi d’arte» ad una Tosca sdraiata a terra; francamente inaccettabile poi far morire Tosca di presunto colpo apoplettico, dacché stramazza a terra: eh no, signori miei, tutto si può fare in teatro, ma Tosca DEVE, permettetemi, deve gettarsi dagli spalti di Castel Sant’Angelo. E pazienza se il ritratto della Vergine richiedeva il binocolo per essere apprezzato, ma Tosca che si abbatte sul palco in molti non l’hanno proprio gradita.

Bene il coro del Regio ed il coro di voci bianche istruiti come sempre con professionalità e scrupolo da Claudio Fenoglio. Applausi assai convinti a fine serata, una serata che cadeva a 80 anni esatti dal rovinoso incendio che distrusse (nel febbraio del 1936, per l’appunto) il glorioso e settecentesco Regio, poi risorto nel 1973 con la nuova sala progettata dal geniale Carlo Mollino, tutta velluti rossi e coraggiosi viola per il soffitto, dominato – si sa – da una nuvola di stalattiti di plexiglas.

Nove le repliche sino a domenica 21 febbraio con un doppio cast (nella seconda compagnia Elena Rossi e Carlo Ventre impersonano Tosca e Cavaradossi mentre il perfido Scarpia viene disimpegnato da Claudio Sgura).

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Tags: Daniele AbbadoGiacomo PucciniMaria José SiriRenato PalumboTeatro Regio di TorinoTosca
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Attilio Piovano

Attilio Piovano

Musicologo e scrittore, ha pubblicato (tra gli altri) Invito all’ascolto di Ravel (Mursia 1995, ristampa RCS 2018), i racconti musicali La stella amica (Daniela Piazza 2002), Il segreto di Stravinskij (Riccadonna 2006) e L’uomo del metrò (e-book interattivo per i tipi de ilcorrieremusicale.it 2016, prefazione di Gianandrea Noseda). Inoltre i romanzi L’Aprilia blu (Daniela Piazza 2003) e Sapeva di erica, di torba e di salmastro (rueBallu 2009, prefazione di Uto Ughi). Coautore di una monografia su Felice Quaranta (con Ennio e Patrizia Bassi, Centro Studi Piemontesi 1994), del volume Venti anni di Festival Organistico Internazionale (con Massimo Nosetti, 2003), curatore e coautore del volume La terza mano del pianista (Testo & Immagine 1997). Laurea in Lettere, studi in Composizione, diploma in Pianoforte, in Musica corale e Direzione di Coro, è autore di contributi, specie sulla musica di primo ‘900, apparsi in volumi miscellanei, atti di convegni e su rivista. Saggista e conferenziere, vanta collaborazioni con La Scala, Opéra Royal Liège, RAI, La Fenice, Opera di Roma, Lirico di Cagliari, Coccia di Novara, Carlo Felice di Genova, Stresa Festival, Orchestra Camerata Ducale ecc.; a Torino col Festival MiTo (già Settembre Musica, ininterrottamente dal 1984), Unione Musicale, Teatro Regio, Politecnico e con varie altre istituzioni. Già corrispondente del «Corriere del Teatro», ha esercitato la critica su più testate; dalla fondazione scrive per «ilcorrieremusicale.it»; ha scritto inoltre per «Torinosette», magazine de «La Stampa», ha collaborato con «Amadeus» e scrive (dal 1989) per «La Voce del Popolo» (dal 2016 divenuta «La Voce e il Tempo»); dal 2018 recensisce per «Il Corriere della Sera» (edizione di Torino). Membro di giuria in concorsi letterari nonché di musica da camera e solistici. Docente di Storia ed Estetica della Musica (dal 1986, presso vari Conservatori), dal 1991 a tutt’oggi è titolare di cattedra presso il Conservatorio “G. Cantelli” di Novara dove è inoltre incaricato dell’insegnamento di Storia della Musica sacra moderna e contemporanea nell’ambito del Corso biennale di Diploma Accademico in Discipline Musicali (Musica sacra) attivato dall’a.a. 2008/2009 in collaborazione col Pontificio Ateneo di Musica Sacra in Roma. Dal 1° gennaio 2018, cura inoltre l’Ufficio Stampa del Conservatorio “G. Cantelli”. Dal 2012 tiene corsi monografici sulla Storia del Melodramma (workshop su «Architettura, Scenografia e Musica» presso il Dipartimento di Architettura & Design del Politecnico di Torino, Corso di Laurea Magistrale, in collaborazione con Fondazione Teatro Regio). È stato Direttore Artistico dell’Orchestra Filarmonica di Torino. Dal 1976 a Torino è organista presso la Cappella Esterna dell’Istituto Internazionale ‘Don Bosco’, Pontificia Università Salesiana (UPS), dal 2017 anche presso la barocca chiesa di San Carlo, nella piazza omonima, e più di recente in Santa Teresa. Nell’autunno del 2018 in veste di organista ha partecipato ad una produzione del Requiem op. 48 di Fauré. È citato nel Dizionario di Musica Classica a cura di Piero Mioli, BUR, Milano © 2006, che gli dedica una ‘voce’ specifica (vol. II, p. 1414).

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