di Luca Chierici foto © Brescia&Amisano
Ancora una volta (ma non si sa per quanto tempo) sono stati il Sindaco Giuseppe Sala, il Sovrintendente Alexander Pereira e il Direttore musicale Riccardo Chailly a presentare nei dettagli la Stagione 2019-20 del Teatro alla Scala, nell’attesa che il Consiglio di Amministrazione prossimo venturo chiarisca il meccanismo di successione che dovrebbe sancire l’uscita dello stesso Pereira alla naturale scadenza del suo contratto. Di conferma di un reincarico all’attuale Sovrintendente nessuno parla, come se la sua dipartita venisse data per scontata. E su questo punto molti cittadini, artisti, critici non sono per nulla d’accordo almeno per un motivo molto importante. Al di là delle scelte più o meno azzeccate, dei successi più o meno confermati a seguito dei percorsi di programmazione, tutto si può dire tranne che Pereira non sia un conoscitore profondo della musica e del teatro, un uomo di grande esperienza che conosce personalmente e da tanti anni tutti i grandi protagonisti di un sistema al quale gli organizzatori si rivolgono per popolare i cast operistici, indirizzare le scelte della programmazione sinfonica e di balletto e così via.
Ma si sa, queste cariche non vengono scelte in base a considerazioni puramente artistiche o di capacità manageriali, tantomeno in base a referendum “popolari” che probabilmente vedrebbero Pereira riconfermato. E così ci toccherà molto probabilmente dire addio al protagonista attuale che ha contagiato tutti con la sua simpatia da vecchio asburgico innamorato di Milano e del suo Teatro, affettuosamente, come se il tutto appartenesse a un antico feudo di Francesco Giuseppe. L’unico motivo pratico di un nuovo insediamento – e di fronte a questo argomento poco o nulla si può obiettare – sarebbe semmai il ritorno alla vecchia separazione di compiti tra Sovrintendente e Direttore artistico, separazione tutto sommato più che spiegabile quando si parla di un teatro di così grandi dimensioni. Ma anche su questo punto ci sono ancora tanti dettagli da decidere. A dare ascolto ai giornali, uno dei personaggi che si metterebbe di traverso nei confronti di una rielezione di Pereira è proprio il Sindaco Sala. Non lo si sarebbe detto assistendo al rito di presentazione della nuova Stagione, che non ha risparmiato eleganti scambi di complimenti tra i due per il buono stato di salute del Teatro, sia dal punto di vista economico che da quello di consistenza dei programmi affrontati.
Abbiamo detto altre volte che le scelte di un teatro come questo debbono per forza di cose tenere conto di tanti e tali vincoli (uno per tutti quello di accontentare una massa ingente di spettatori italiani e stranieri) da non potere permettere la definizione di cicli specialistici, almeno nel repertorio operistico, che prediligano comparti di repertorio molto limitati. Analizzando il calendario di spettacoli ora annunciati si è dunque più colpiti dal numero di nuove produzioni (11) che dalle scelte indirizzate a settori privilegiati. Evidentemente le nuove produzioni sono meno costose di un tempo, quando le stesse erano centellinate, soprattutto se affidate a registi validi ma non ancora ascesi a livelli da “star”. E tutto sommato si è parlato più di gossip sul tenore che sarà Cavaradossi il 7 Dicembre che tentare di individuare un filo di collegamento tra i vari titoli presenti in cartellone.
Titoli che dovrebbero soddisfare le aspettative di chiunque e che sono quasi sempre accompagnati da presenze di direttori, cantanti, registi e scenografi di prim’ordine. Sarebbe a questo punto inutile declinare un commento partendo da uno dei tanti ordini possibili di lettura dei parametri di cui sopra. Notiamo solamente alcuni aspetti che vanno sottolineati perché caratterizzanti un certo tipo di scelte. Innanzitutto il problema del repertorio gestito da Casa Ricordi, un pilastro ancora oggi fondamentale nella programmazione del Teatro e che condiziona in maniera forse fin troppo minuziosa tali scelte. Anche quest’anno Riccardo Chailly insiste sulle prime esecuzioni assolute di opere famose, in un formato poi abbandonato dall’autore. Nel caso di Puccini era successo pochi mesi fa con la Manon e ora sarà la volta di una Tosca eseguita nella versione primigenia del teatro Costanzi (14 Gennaio 1900) che prevede alcuni dettagli poi scomparsi come la presenza di un finale leggermente allungato nella parte orchestrale. Operazione interessante, non c’è dubbio, ma che temiamo non sarebbe mai stata varata se a monte non ci fosse stato il “problema” della scadenza dei diritti d’autore per Casa Ricordi e la conseguente “necessità” di porre mano a una nuova edizione critica che assicuri il ripristino di tali diritti per un bel periodo di tempo. Era proprio necessaria, ai fini artistici, questa edizione critica?
Tra le nuove produzioni notiamo un Turco in Italia di Rossini che invece di essere ripreso da Chailly, che lo aveva portato in scena nel 1997 dopo il leggendario allestimento Zeffirelli-Callas del ’55, verrà sostenuto musicalmente da Fasolis. Chailly si dedicherà invece (e lo attendiamo con curiosità al varco) in Salome con la regìa di Michieletto, mentre a Daniele Gatti è affidato il Pelléas di Debussy. Altra nuova produzione molto attesa da chi giustamente è assetato di novità o di recuperi di un repertorio dimenticato è quella de L’amore dei tre Re di Montemezzi, un titolo diretto da Toscanini alla Scala nel 1913 che si colloca nel contesto di un recupero di un filone verista molto gradito dal pubblico. In questo senso grande attesa vi è anche per Fedora di Giordano, già eseguita con successo ai tempi di Gavazzeni (Freni, Domingo e poi Carreras) e oggi riproposta con la Yoncheva accanto al “perdonato” Roberto Alagna (che non si ascoltava alla Scala dai tempi di una famosa Aida contestata dal pubblico e dal tenore stesso). Ce n’è per tutti i gusti, e i sostenitori di Zubin Mehta potranno gioire per la presenza dell’oramai carismatico direttore per Un ballo in maschera e La traviata e persino per Erwartung di Schoenberg e Intolleranza 1960 di Nono. Il barocco è presente con Haendel e ancora con Semele (appena ascoltato in una lodata versione semiscenica con Gardiner e oggi riproposto con la regìa di Carsen e un cast molto interessante (Bartoli, Bostridge, Cencic, Mingardo). Il repertorio francese, oltre che dal Pelléas, sarà rappresentato anche da Roméo et Juliette di Gounod.
La stagione sinfonica (e in parallelo quella della Filarmonica che verrà annunciata più avanti) avrà un suo punto di riferimento nell’esecuzione dell’integrale delle sinfonie beethoveniane da parte di Chailly, momento fondamentale nel percorso artistico di un direttore musicale e compito che già era stato preso in carico da Muti durante la sua reggenza. Concerti di canto all’altezza degli anni passati sono in programma da dicembre 2019 a novembre 2020 e su questi ci soffermeremo (come per il resto) con più approfonditi commenti al trascorrere della nuova Stagione.