Al Teatro Litta una nuova produzione porta in scena l’opera di Haendel: la regìa è di Valentino Klose, di buon livello il cast vocale in cui spicca la prova di Viktorija Bakan. La concertazione filologica è di Christian Frattima
di Luca Chierici
L’ITALIA E MILANO HANNO FAME DI HAENDEL, non vi è dubbio. Non è una questione semi-campanilistica: il caro Sassone ha vissuto un glorioso periodo di apprendistato nel nostro Paese e ha successivamente dedicato una buona parte del proprio talento all’opera seria italiana. Ciò sarebbe già sufficiente a spingere organizzatori musicali, sovrintendenti e altri Grand commis della cultura a garantire una presenza continua dei melodrammi italiani (e non solo ) di Haendel nei nostri teatri. Tutti sappiamo che non è così, e l’Italia fa a questo proposito l’ennesima figura barbina, lasciando che siano gli inglesi, i francesi, i tedeschi a tener alto l’onore di uno dei massimi musicisti di tutti i tempi. Non ricordiamo più quanto tempo è passato dall’ultima programmazione di un’opera di Haendel alla Scala, e la memoria corre comunque non tanto ad Alcina o Rinaldo quanto alle mai dimenticate recite dell’Ariodante di Alan Curtis alla Piccola Scala. Un autore che non c’è più, un’opera dimenticata, addirittura un teatro che è stato inghiottito dall’ultima faraonica ricostruzione della “sala grande”. Consoliamoci allora con una produzione in forma ridotta – non dal punto di vista esecutivo, perché lo spettacolo è durato quattro ore e un quarto – voluta dalla Société d’Opéra Coin du Roi che ha accettato il rischio di mettere in scena il Serse al Teatro Litta con mezzi sufficienti per garantire una decorosa e tutto sommato lodevole operazione che ha attirato un pubblico di fedelissimi.
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La grande produzione teatrale di Haendel si regge benissimo da sola anche oggi, ma è chiaro che una regìa inventiva, scene che appagano l’occhio, una concertazione attenta alla filologia ma anche alle ragioni dello spettacolo e soprattutto dei cantanti di primo livello adatti a questo repertorio (ammesso che ne esistano) diventano ingredienti ideali per festeggiare degnamente il ritorno di Georg Friedrich. Lo spettacolo curato dal regista Valentino Klose, con le scene e i costumi di Alessandra Boffelli Serbolisca è ambientato in un tempo indefinito che viene attualizzato solo attraverso gli abiti e qualche suppellettile moderno, come oggi avviene praticamente in quasi tutti gli allestimenti haendeliano all’estero. I contorni della vicenda originale illustrata dal libretto non danno adito a grandi possibilità inventive, e Klose persegue l’idea, non del tutto peregrina, di cogliere lo spunto da un evento celebrativo che ebbe luogo nella Persia del 1971, quella dello Scià, legato ai festeggiamenti per i 2500 anni dell’Impero a Persepoli. Spunto interessante che però doveva essere supportato da una realizzazione al passo con gli eventi e magari da una scenografia all’altezza della fastosità dell’occasione. I movimenti scenici erano peraltro limitatissimi e abbiamo assistito per lo più a una meccanica carrellata di personaggi che cantavano percorrendo su e giù il minuscolo palcoscenico del Litta. Né i cantanti avevano sufficiente esperienza di teatro per permettere qualche sortita autonoma e l’unico attore della compagnia, il basso Claudio Ottino, ha avuto la meglio in quell’insolito inserto caricaturale che tanto scandalizzò il pubblico inglese ai tempi delle prime esecuzioni dell’opera a Londra.
Nella compagnia di canto si distingueva senz’altro per professionalità e maturità la soprano Viktorija Bakan, Romilda espressiva e stilisticamente ineccepibile. Altrettanto successo hanno riscosso Jud Perry come Arsamene e Vilija Mikstaité, entusiasta e spesso convincente nel ruolo del titolo. Sullo stesso livello di professionalità un poco acerba erano Alessandra Visentin (Amastre), Arianna Stornello (Atalanta) e Stefano Cianci (Ariodate). Christian Frattima ha concertato in maniera egregia e ha presentato un Serse che più filologico non si può, dalla scelta degli strumenti a quella del diapason a 415 Hertz , ma forse avrebbe potuto attenuare le pur giuste preoccupazioni riguardanti l’integrità del testo con qualche concessione a questo riguardo verso il pubblico. Tutto sommato quella del taglio nel repertorio barocco è anche un’arte da tenere in considerazione.
(Milano, Teatro Litta, 30 maggio 2015)
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