Si è concluso sabato 3 dicembre 2011 il convegno “Nino Rota e Milano” promosso dal CIDIM e dalla Fondazione Orchestra Sinfonica di Milano Giuseppe Verdi sotto l’Altro Patronato del Presidente della Repubblica
di Francesco Fusaro
[IL] ciclo di incontri dedicato al compositore milanese, parte di un più ampia serie di iniziative nazionali organizzate in occasione dell’anniversario della nascita del compositore (avvenuta appunto il 3 dicembre 1911), ha posto in luce alcuni aspetti della vita di Rota ritenuti ancora marginali nella divulgazione del repertorio rotiano presso il grande pubblico. In primis, come ha ricordato puntualmente Matteo Vecchio, quella rigorosa formazione intellettuale – e nello specifico filosofica – avvenuta sotto l’ala protettiva di Antonio Banfi, precursore degli studi estetici in Italia nel periodo a cavallo della Seconda Guerra Mondiale. Una formazione che vide il dotatissimo musicista confrontarsi con alcune delle figure di spicco della cultura milanese dell’epoca quali Antonia Pozzi, Vittorio Sereni e Luciano Anceschi.
Nella fase aurorale del percorso artistico di Nino Rota fondamentale fu l’episodio de L’infanzia di San Giovanni Battista, brano composto a soli undici anni ed eseguito in Italia e all’estero. In esso, come ha avuto modo di sottolineare Federico Lazzaro, si riscontrano ovvie ingenuità – formali e stilistiche – ma anche interessanti spunti drammaturgici che suscitano verso la composizione – forse ex post? – un certa curiosità.
La naturale capacità di Rota di confrontarsi con media diversi è poi emersa nella relazione di Emilio Sala incetrata sull’opera I due timidi, importante momento del catalogo rotiano legato alla radiofonia. Il testo fu approntato da Suso Cecchi D’Amico per il Prix Italia del 1950; ad esso il compositore milanese diede quell’intelligente veste musicale (costruita su di una tecnica di ‘focalizzazione sonora’ che induce ad un parallelismo con Rear window di Alfred Hitchcock, uscito quattro anni dopo) che pur tuttavia non gli valse il premio, assegnato invece a Ifigenia di Ildebrando Pizzetti.
E sul periodo di studio negli Stati Uniti presso il celebre Curtis Institute di Filadelfia – momento trascurato nella storigorafia su Rota – si è invece concentrato Francesco Lombardi, sottolineando i difficili rapporti dell’apprendistato con Rosario Scalero, l’amicizia con Barber e Menotti, la protezione di Arturo Toscanini e la fascinazione – notizia di non poco conto per capire la sfaccettata personalità artistica del compositore – per le impressionanti luci di Broadway, all’epoca al suo apice produttivo.
Hanno infine concluso la proficua giornata di studi le relazioni di Giovanni Salis sulla produzione delle liriche da camera di Rota, inserite in una temperie culturale italiana del tutto particolare – si pensi alla fascinazione di tanti musicisti dell’epoca per la poesia del Premio Nobel Rabindranath Tagore – e quella di Carlo Cavalletti dedicata alla produzione teatrale, altro terreno di spunto per sottolineare la pervicace esistenza di un generico e superficiale giudizio su Rota quale compositore cinematografico prestato alla musica colta. Giudizio che, come ha auspicato Piero Rattalino in apertura al ciclo di incontri di sabato, questi studi potranno finalmente confutare.
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