Si tratta di cinque manoscritti, tra i quali l’importante Quintetto dal I atto de La gazzetta di Rossini, considerato perduto. A introdurre la scoperta Dario Lo Cicero, Daniele Ficola e Philip Gossett, che abbiamo intervistato
di Monika Prusak
L a Biblioteca del Conservatorio “Vincenzo Bellini” di Palermo si sta svegliando dopo un lungo inverno di cattiva gestione o meglio «non-gestione» come la definisce l’attuale bibliotecario Dario Lo Cicero nel corso della conferenza stampa svoltasi l’8 maggio 2012. È ancora inestimabile la quantità di manoscritti e autografi che si trovano sugli scaffali, ma questo patrimonio eccezionale lentamente sta venendo alla luce. A introdurre le recenti scoperte sono stati Daniele Ficola, direttore del Conservatorio, Dario Lo Cicero, grazie al quale la scoperta ha avuto inizio e Philip Gossett, uno dei massimi esperti dell’opera italiana dell’Ottocento, ex docente dell’Università “La Sapienza” di Roma e professore emerito dell’University of Chicago (ascoltate qui un esclusivo documento audio da noi pubblicato). La conferenza costituisce «un’occasione importante al livello istituzionale per noi che lavoriamo nell’Alta Formazione Artistica e Musicale», ha affermato Daniele Ficola, «per dare un segnale importante sul patrimonio che custodiscono le biblioteche storiche delle nostre istituzioni, in alcuni casi già oggetto di indagine accurata, come ad esempio le Biblioteche dei Conservatori di Napoli, Milano e Bologna.»
Tutta l’attenzione dell’incontro si è concentrata su cinque manoscritti ritrovati in una miscellanea inventariata nel 1986 come «[Antologia di brani operistici di Rossini, Donizetti, Generali] – manoscritto», ovvero tre autografi di Rossini, un autografo di Donizetti e un autografo di Pietro Generali, che risalgono agli anni Venti dell’Ottocento e sono legati all’attività del Teatro Carolino di Palermo. Si tratta dell’aria “Cessar gli affanni” per soprano, coro e orchestra scritta nel 1825 da Pietro Generali, all’epoca direttore artistico del Teatro Carolino e acclamato compositore, una cavatina sostitutiva per L’italiana in Algeri rossiniana, “Cimentando i venti e l’onde”, scritta da Donizetti per la cantante Maria Tomaselli Tamburini nel 1825, quando egli era direttore del Carolino, due arie aggiunte da Rossini in occasione delle rappresentazioni romane del Turco in Italia nel novembre 1815, “Un vago sembiante”, cavatina di Don Narciso, e “Presto amiche”, cavatina di Donna Fiorilla, e l’autografo più importante, considerato perduto, il Quintetto dal I atto de La gazzetta di Rossini. «Questi ritrovamenti sono quelli più clamorosi», ha constatato Dario Lo Cicero, «è per questo che è stata indetta una conferenza stampa, ma ci sono tantissime cose che sono saltate fuori nel corso degli anni […], perché questa biblioteca copre un arco storico veramente notevole». Come racconta egli stesso il volume più antico risale al primo decennio del Cinquecento, ma vi si trovano anche importanti testimonianze del secolo scorso.
La presenza a Palermo di Philip Gossett, che da anni studia gli autografi di Rossini ed è autore di diverse edizioni critiche delle opere del compositore pesarese, ha permesso di conoscere qualche dettaglio sulle composizioni ritrovate.
Professor Gossett, come ha saputo dell’esistenza di questi manoscritti?
«Ho saputo dei manoscritti grazie al mio amico Jesse Rosenberg di Chicago, che ha lavorato per tanto tempo in Italia e che conosceva Dario Lo Cicero e mi ha aiutato a contattarlo. Ho scritto a Dario dicendo che sarei stato grato di sapere di cosa si trattava, dal momento che conosco bene la scrittura di Rossini, e in risposta ho ricevuto non solo le descrizioni di quello che è stato ritrovato, ma anche, qualche giorno dopo, le immagini di tutti i manoscritti. Erano di grande interesse. Sapevo esattamente cosa fosse e così ho proposto a Dario di scrivere un articolo a quattro mani per la Rivista Italiana di Musicologia, del cui comitato editoriale faccio parte. Quindi ho scritto al direttore che mi ha dato il suo consenso per pubblicare l’articolo quest’anno, il testo è pronto e uscirà nel mese di giugno».
Di quali manoscritti si tratta?
«Si tratta in tutto di cinque manoscritti, ma ci sono anche altre cose bellissime qui in conservatorio. Questi cinque documenti sono: un autografo di Pietro Generali di cui si sa troppo poco, un autografo di Donizetti, scritto quando egli fu direttore del Teatro Carolino di Palermo, e tre autografi di Rossini, due dei quali sono manoscritti di pezzi che conoscevamo già, e che furono aggiunti da Rossini al Turco in Italia nell’edizione romana del 1815. Ma il terzo brano è veramente straordinario. Si tratta di un pezzo che Rossini scrisse per la sua opera La gazzetta a Napoli nel 1816 [Quintetto dal I atto, ndr], ma che probabilmente non fu utilizzato per la recita in quell’anno. Crediamo infatti che quando l’opera fu ripresa a Palermo nel 1827 Rossini inviò al Carolino questo brano, che poi comunque non fu rappresentato, come tra l’altro la scena IX del primo atto, che si conclude con la grande aria di Doralice. L’affascinante Quintetto di Rossini si conclude con una melodia che conosciamo dal Primo Finale del Barbiere di Siviglia, con lo stesso testo, ma utilizzato in modo diverso. Nel Barbiere, in Do maggiore, il motivo appare all’inizio della stretta del Finale e poi torna all’inizio della ripresa, ma in un’altra tonalità, Mi bemolle maggiore. Questo è molto insolito in Rossini. Nel Quintetto il motivo torna sempre in Do e non in Mi bemolle, soltanto sfiora l’altra tonalità. C’è dunque un accenno a quello che succede nel Barbiere, ma senza fare esattamente la stessa cosa.
Quando nel 2002 abbiamo pubblicato l’edizione critica de La gazzetta, abbiamo pensato che questo brano non si potesse trovare. Sapevamo della sua esistenza, perché il testo risulta dal libretto, ma si trattava di due scene che non sono essenziali per lo sviluppo della trama. Era consuetudine di Rossini fare scrivere i recitativi per le sue opere dai collaboratori, anche nel Barbiere di Siviglia non c’è una nota di recitativo scritta di suo pugno. In questo caso non sembra esserci nessuna traccia del recitativo che porta al Quintetto, né nell’autografo de La gazzetta che si trova a Napoli, né in nessuna fonte secondaria. Abbiamo cercato in tutto il mondo, da Boston fino all’Italia, ma non abbiamo trovato nulla. Quindi questa scoperta è davvero importante. Non è che i teatri hanno l’obbligo di utilizzare il Quintetto per la rappresentazione, ma se lo volessero fare, noi dobbiamo renderglielo possibile. Ho stabilito un accordo con la casa Ricordi per aggiungere il brano alla nostra edizione del 2002, in modo tale che i teatri abbiano la possibilità di eseguirlo insieme al resto dell’opera».
Una curiosità: come si fa a riconoscere un autografo di Rossini?
«Guardi, ho così tanta esperienza nello studio della scrittura di Rossini, che riesco a capire subito se si tratta di un autografo o meno. In questo caso conosciamo anche il testo ed è improbabile che qualcun altro al mondo volesse mettere in musica il testo di Rossini. Persone e istituzioni mi fanno vedere tanti documenti che si rivelano falsi e spesso mi dispiace dire che la scoperta non è autentica. In questo caso ho potuto rispondere a Dario che sono sicurissimo dell’autenticità di questi brani proprio perché conosco la storia di ognuno di essi. Dopo cinquant’anni di esperienza nel guardare le partiture di Rossini posso dire con assoluta certezza cosa è stato scritto da lui».
Cosa succederà adesso a questi documenti?
«Degli autografi del Turco non farei nulla in questo momento, perché abbiamo già pubblicato un’edizione di ambedue i pezzi e perché non c’è quasi nulla da aggiungere a queste musiche. Quello che si dovrebbe fare è un’edizione buona basata sull’autografo, ma la lascio alla prossima edizione di Rossini fra cento anni. Quello de La gazzetta è un caso più urgente e ho già dato la mia disponibilità a Ricordi per aggiungere il testo ritrovato all’edizione critica che è in circolazione. In questo modo, se qualcuno avesse voglia di rappresentare l’opera per intero, potrà richiedere alla casa editrice il materiale completo del Quintetto. Scriverò io il recitativo mancante, come ho già fatto per quello della scena VI. Alcuni recitativi sono indispensabili, perché contengono delle informazioni chiave, che si devono conoscere per capire l’opera. È così anche nel caso del Quintetto, ma non per quanto riguarda le scene VII e VIII per esempio, le quali funzionano bene anche senza. Abbiamo già stabilito una prima esecuzione assoluta al New England Conservatory of Music [di Boston, ndr] negli Stati Uniti e successivamente nel 2013 o 2014 un direttore svizzero vorrebbe organizzare diverse recite professionali in Belgio, Polonia, Giappone e forse in Svizzera e Italia. L’ho rassicurato che il materiale sarà pronto per la rappresentazione a Boston nei mesi di marzo-aprile del 2013. Quindi devo assolutamente consegnare il lavoro pronto a Ricordi entro i primi dell’anno e ci vorrà del tempo, perché il Quintetto è una partitura lunga e complessa».
Visto che stiamo parlando delle nuove scoperte che riguardano la ricerca musicologica, vorrei chiederle che cosa pensa della ricerca in Italia?
«È una domanda complessa e difficile, perché in questo momento di crisi economica il Governo ha deciso di togliere soldi alle Università e al lavoro scientifico, soprattutto per quanto riguarda gli studi umanistici che sono considerati meno importanti. Secondo noi sono fondamentali, soprattutto per l’Italia, che ha guadagnato la sua reputazione in gran parte grazie alle arti. È impensabile per esempio, che un posto come Pompei non abbia un sufficiente finanziamento per sostenersi. Conosco personalmente un americano che si chiama David Packard, che attraverso la sua fondazione per gli studi umanistici [Packard Humanities Institute, ndr] da dieci anni sostiene gli scavi di Ercolano [Herculaneum Conservation Project, ndr]. Tutto ciò è ridicolo, perché dovrebbe essere il Governo Italiano a intuire l’importanza di questo patrimonio. Se parliamo di musica la situazione è ancora più grave. Spesso sono i conservatori stessi a non riconoscere l’importanza delle scoperte come questa di cui parliamo oggi, perché i cantanti vogliono semplicemente studiare quello che hanno sentito in disco e l’importanza della biblioteca è sottovalutata. È molto particolare e curioso incontrare un direttore come quello del Conservatorio di Palermo, che si interessa alla ricerca e capisce che anche noi siamo musicisti e non dilettanti».
© Riproduzione riservata