Dopo dodici anni di lavori viene restituito alla città il piccolo gioiello progettato da Filippo Maccari alla fine del Settecento. L’orchestra Haydn di Bolzano e Trento diretta da Arvo Volmer ha interpretato la Nona Sinfonia di Beethoven
di Veronica Pederzolli
«NON VA LENTA COSÌ biscia a l’incanto / come i Trentini a la comedia». Se questo del trentino poco propenso alle arti, qui nell’epigramma di Giovan Paolo Fabri da Cividale, fu un luogo comune già smentito nel 1700, oggi potrebbe quasi ambire allo status di nonsense. Il 18 ottobre 2014 Rovereto ha inaugurato il suo Teatro Riccardo Zandonai, dopo dodici anni di chiusura. Ma certo, per lo Zandonai questa inaugurazione non è la prima. Quello che fu il Teatro Nuovo, poi divenuto Sociale e dal 1924 Zandonai, venne consegnato per la prima volta alla città il 26 maggio 1784, con l’esecuzione Giannina e Bernardone di Domenico Cimarosa. Il primo teatro trentino nel 1800 visse un paio di chiusure e inaugurazioni ospitando melodrammi, opere buffe, commedie, balli e spettacoli funambuleschi. La Grande guerra, il cui centenario dallo scoppio ricorre proprio nel giorno della sua ultima inaugurazione, lo trasformò addirittura in caserma, stalla e deposito. Fu ripristinato nel 1919 con Francesca da Rimini, composta e diretta da Zandonai, il roveretano al quale cinque anni più tardi il Comune, diventatone l’effettivo proprietario, dedicò, inusualmente a un vivente, il teatro. Attirando a Rovereto le migliori compagnie nazionali di prosa e i migliori allestimenti di operette, dal 1950 il teatro ritornò in piena attività e lo rimase, seppur non sempre “pienamente”, fino al 2002, quando, alla vigilia dell’inaugurazione del Mart, venne nuovamente chiuso per restauro: i tarli lo stavano trasformando in segatura.
Le prime previsioni: tre anni e sette milioni di euro; ce ne sono voluti dodici di anni e venticinque milioni. Si pensava a un semplice restauro, il cui punto di riferimento rimanesse il 1871, momento di massimo splendore per il teatro; si è invece dovuta affrontare una progettazione in progress. Recuperata la parte lapidea e dell’intonaco storico della facciata in corso Bettini, riferibile al 1870, i lavori si sono protratti per scoperte quali la manomissione del grande soffitto centrale, la differente qualità pittorica tra i vari ordini di palchetti e il ritrovamento di elementi pittorici di fine 1800 sottostanti i controsoffitti più moderni del foyer. È infine stato dotato di impianti all’avanguardia nella funzionalità e sicurezza.
Dodici anni di complessi cantieri, il teatro è pronto, ma fa discutere: la dimenticanza della conchiglia sonora, per l’occasione noleggiata, la presenza di funamboli, già attestata nella storia dello Zandonai, le numerose entrate per la “Prima” riservate ai “vip” e la non possibilità di acquistare il biglietto online, fatto nel 2014 effettivamente fuori tempo, fanno storcere il naso a molti. Alle 18 del 18 ottobre una folla ha invaso corso Bettini per salutare lo Zandonai nel suo Opening Mob: sulle punte dei piedi si guarda al maxi-schermo, per cogliere almeno qualche sfumatura di quello che accade sulle musiche di Verdi, accompagnate da performance di teatro e danza. Si attende la “Prima” saltellando e ridendo quando nel finale il direttore Gianni Caracristi propone Goran Bregovič.
Alle ore 21 i cinquecento posti a sedere avvolti dai toni dell’arancione e dell’azzurro sono inaugurati con un vero e proprio inno alla gioia per questa restituzione alla comunità: la Nona sinfonia, che Beethoven compose dopo dodici anni di silenzio in questo genere, come dodici sono stati gli anni di silenzio per lo Zandonai. L’Orchestra Haydn di Bolzano e Trento, i solisti e il Coro del Teatro Municipale di Piacenza, preparato da Corrado Casati, lo rompono in maniera magistrale questo silenzio, sotto la guida dell’estone Arvo Volmer, che ne mette in luce il percorso di lungo travaglio prima dell’approdo al famoso coro finale. Per lo Zandonai questo è, però, il primo passo verso due mesi di intensa programmazione, talmente varia da ricordare quella dei secoli passati e da rendere difficoltoso non suscitare curiosità. Tra questi da segnalare, oltre agli appuntamenti “made in Rovereto”, Sogno di una notte di mezza estate di Giovanni Bellucci, l’Arlecchino servitore di due padroni del Piccolo di Milano e il ritorno della Haydn con l’omaggio a Zandonai.
A poco più di due settimane dai licenziamenti “ammortizzatori” (della qualità, forse?) all’Opera di Roma, una domanda sorge spontanea: com’è possibile che, pur nella loro diversità, Roma “chiuda” e Rovereto inauguri? Risponde il sindaco di Rovereto Andrea Miorandi: «Rovereto è una città che sa investire quasi l’11% del proprio bilancio in cultura ed è vicina agli standard del nord Europa. Per noi la cultura è sempre stata occasione di sviluppo e per questo c’è la volontà di investire nelle sue infrastrutture, una volontà che esiste fin dal 1700 nell’incontro tra cultura e impresa, come lo stesso Zandonai testimonia: nato da imprenditori privati è poi diventato pubblico. Ora infatti sarà principalmente il comune a sostenerne le spese».
Questo teatro è una grande sfida, non solo trentina, ma anche italiana: con la cultura si può e si deve vivere. Un passo è stato fatto, è stato gettato il primo mattone: ora tutto dipende da come verranno posizionati gli altri.