Quello di Igor Stravinskij e di Robert Craft, che ci ha lasciati il 10 novembre scorso all’età di 92 anni, è un rapporto nato e cresciuto per un’affinità elettiva
di Claudia Ferrari
Robert Craft, originario di Kingston (New York), studia musica fin da bambino ma è costretto a interrompere il proprio percorso – allora era iscritto alla Juilliard School – a causa degli obblighi militari. Il suo interesse era rivolto principalmente alla musica di Carlo Gesualdo e Claudio Monteverdi e, contemporaneamente, alle ricerche della Seconda Scuola di Vienna. Dopo il primo contatto con Igor Stravinskij, avvenuto nel 1947 in seguito alla volontà di Craft, allora già direttore d’orchestra, di eseguire le Sinfonie per strumenti a fiato del compositore, tra i due si crea un rapporto artistico e personale, che sarà poi raccontato da Craft nell’autobiografia An improbable life (2002).
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Con Stravinskij, Craft viaggiò sia realmente che attraverso i racconti del compositore: in Ricordi e commenti sono riunite in ordine cronologico tutte le parti dei cinque volumi che originariamente componevano questa raccolta di conversazioni. E il viaggio è la vita di Stravinskj. Prima in Russia, terra di origine: gli anni della formazione, con i ricordi più intimi e famigliari; per arrivare poi in Europa e alla città della consacrazione: Parigi. Lo scandalo della Sagra della Primavera e le grandi creazioni frutto della collaborazione con Djagilev presentate proprio nella capitale Francese. Incontri con nomi che hanno segnato il Novecento, non solo musicale: Picasso, Proust, D’Annunzio, Satie, Puccini e tanti altri, fino a John e Jackie Kennedy negli Stati Uniti. E Craft, dai primi anni cinquanta fino alla morte, è stato sempre al suo fianco. Proprio in questo libro le riflessioni personali del compositore fioriscono grazie al rapporto con Craft, più che collaboratore, più che un musicologo, o un direttore (a sua volta compositore,) più che un appassionato di musica nel senso più alto del termine: un vero confidente e amico fidato, tanto che il maestro affermò “Robert Craft è il miglior interprete dei miei lavori. Dei vecchi, dei nuovi e di quelli che non ho ancora composto”.
Il passato del compositore era ciò che a Craft interessava davvero indagare, ma anche la parte di vita di cui Stravinskij era più restìo a parlare: l’uno alla ricerca dei nodi del comporre, delle pieghe del pensiero, l’altro concentrato più che altro sul presente, sul mondo attorno nel qui e ora dei vari anni in cui queste testimonianze sono state raccolte. A questa perenne distanza, sottile e assieme profonda, si riferisce Craft quando afferma di considerare le conversazioni con Stravinskij come “un monumento a un milione di occasioni mancate”.
Una vita all’ombra del suo mentore, una vita al servizio del suo maestro, si potrebbe pensare. Ma i passi mossi da Craft vanno al di là del tempo trascorso vivendo, prima a Hollywood e poi a New York, con Stravinskij e la sua seconda moglie; vanno al di là della semplice figura di aiutante-segretario. Craft, con Stravinskij, visse, visse davvero.
Continuò a dirigere le maggiori orchestre degli Stati Uniti, durante gli anni in casa Stravinskij e dopo la morte del compositore; vinse prestigiosi premi (tra cui Edison Prize per le sue registrazioni della musica di Varèse e Stravinskij); lasciò il segno con le prime registrazioni di lavori di Arnold Schoenberg e Anton Webern. Insieme, Craft e Stravinskij, scrissero libri, diari, conversazioni, saggi, interviste. Un confronto duraturo e aperto sulla musica, non solo su quella del grande compositore russo. Quello di Igor Stravinskij e di Robert Craft, che ci ha lasciati il 10 novembre scorso all’età di 92 anni, è un rapporto nato e cresciuto per un’affinità elettiva. Niente di più lontano, quindi, da una semplice collaborazione.
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