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«Pollicino» di Hans Werner Henze a Torino

di Attilio Piovano
2 Giugno 2016
in XX e XXI
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Home XX e XXI
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di Attilio Piovano foto © Ramella&Giannese


Se fosse vivo avrebbe compiuto novant’anni, Hans Werner Henze grande innamorato dell’Italia tanto da aver eletto il nostro Paese a sua seconda patria; e di sicuro sarebbe stata una gran bella festa, per lui, al Regio di Torino che, nell’occasione dell’anniversario della nascita dell’autore di opere quali Boulevard solitude, Elegìa per giovani amanti e La gatta inglese (per limitarsi ai titoli più noti), ne propone, penultimo titolo in cartellone, la favola in musica Pollicino: che Henze compose nel 1979-80 per il Cantiere Internazionale di Montepulciano da lui stesso fondato.

Hans Werner Henze (1926 – 2012)
Hans Werner Henze (1926 – 2012)

Un’opera – per la prima volta a Torino – dai dichiarati quanto evidenti intenti pedagogici e sociali, in sintonia con le idee progressiste di Henze medesimo e della sua estetica. Che come tale si richiama, quanto meno idealmente, a certi exempla britteniani (Il piccolo spazzacamino) come pure di Hindemith (l’operina Costruiamo una città) pur con i dovuti distinguo, e l’elenco potrebbe allungarsi. Da qui l’organico che fa ampio uso dello strumentario dell’Orff-Schulwerk, dunque con flauti dolci (ma anche cromorni), chitarre, salteri, una nutrita schiera di metallofoni e di percussioni, incluso il pianoforte, oltre agli archi s’intende.

Al Regio viene proposto l’allestimento del Maggio Musicale Fiorentino. Un vero e proprio successo personale, quello di Claudio Fenoglio che dal podio governa, con mano salda e con ammirabile souplesse, l’Orchestra Giovanile ‘Il Pollicino’, solisti e Coro di voci bianche del Teatro Regio e del Conservatorio di Torino, restituendo tutta la freschezza e l’immediatezza alla gradevole partitura. Progetto realizzato grazie al lodevole contributo della Fondazione Spinola Banna per l’Arte.

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Una partitura ben confezionata, pur nel suo esplicito (ed intenzionale) eclettismo alla quale ha dato vita, a partire dalla sera di sabato 28 maggio 2016, un nutrito cast che vede la collaborazione dei Conservatorio ‘Verdi’ di Torino, ‘Pollini’ di Padova, ‘Martini’ di Bologna, ‘Pedrollo’ di Vicenza, ‘Steffani’ di Castelfranco Veneto e della Scuola Primaria di Villanova d’Asti. Un bel modo per coinvolgere musicisti in erba in un’operazione concreta, un far musica insieme che li segnerà (positivamente) per tutta la vita. Una partitura, quella di Pollicino – fondata sul funzionale ed efficace libretto di Giuseppe Di Leva tratto dalle fiabe di Collodi, dei fratelli Grimm e di Perrault abilmente mixate – in cui c’è spazio per temi infantili, echi folklorici, sprechtgesang, reminiscenze varie tra cui vistosi echi del recitativo tipico del melodramma italiano, musica ‘di consumo’ nel senso più alto del termine, dunque facile ad imprimersi alla memoria e nel contempo sofisticate tecniche improntate ai canoni della più complessa musica contemporanea; non solo, c’è spazio per politonalità e procedimenti pseudo-seriali, momenti tranquillamente e serenamente tonali e cupezze timbriche allucinate, rumorosi interventi delle percussioni e tratti quasi in guisa di colonna sonora da film in grado di accattivarsi un pubblico trasversale.

Una partitura screziata timbricamente in cui taluni momenti concitati, quali ad esempio le scene in cui i bimbi si perdono nel bosco o più ancora si trovano al cospetto dell’Orco, o ancora il passo in cui l’Orco stesso si abbandona all’ira che esplode con conflagrazioni paurose, si alternano con impagabile naturalezza ad altri assai più smagati e fiabeschi; e allora la catartica alleanza con gli animali che si svelano presenze positive e collaborative come ci ha insegnato Bettelheim e come ci racconta Propp. Non tutto, invero, in partitura è oro fino; per dire, gli interludi interposti alle dodici scene, pur espressivi e ben confezionati, non sempre risultano del tutto funzionali alla vicenda, in qualche caso rallentandone l’azione. Il ritmo che per lo più innerva la partitura, infatti, talora viene meno e qualche momento di ristagno innegabilmente fa capolino.

Al Regio Giorgio Fidelio (voce bianca nel ruolo che dà il titolo alla partitura) ha raccolto convinti applausi per come ha disimpegnato la parte di Pollicino, con naturalezza e professionalità attorniato da sei fratelli (Anita Maiocco, Valentina Escobar, Vittoria Sentina, Flavo Allegretti, Lucrezia Piovano, Irene Tozzi ) e dalle sei sorelline (Virginia Clerico, Francesca Demarchi, Sara Jahanbakhsh, Eleonora Macrì, Lorena Mantia, Carol Poma); bravi tutti i ragazzini e le ragazzine, anche sul piano scenico: altresì in quei momenti in cui è richiesta una certa qual dose di improvvisazione aleatoria (il gioco a nascondino e via elencando). Molto bene i momenti intrisi di pathos, uno per tutti l’auscultare trepidante da parte di Pollicino i discorsi di padre e madre e l’apprendere del tremendo proposito di smarrirli nel bosco. Un plauso speciale per l’orchessina Clotilde (la voce bianca di Fiammetta Piovano che, unitamente a Lucrezia, corre d’obbligo segnalarlo, non è in alcun modo parente di chi firma questo ‘pezzo’), Validi tutti gli interpreti di animali e allora Alessandro Ferraris, Niccolò Cozzula, Carlotta Petruccioli, Celeste Mostert, Giulia Ferri, Manuela Escobar e Tommaso Paronuzzi: per Gufo, Civetta, Volpe, Lepre, Riccio, Cinghiale e Lupo.

Sul versante delle voci adulte il tenore Michele Govi ha ben sbozzato un padre ruvido, risoluto e crudele (appena  un po’ troppo caricato nella scena del post prandum, con effetto ebbrezza, ma ci stava), affiancato dal soprano Kate Fruchterman nel ruolo della madre. Bene il baritono Emilio Marcucci nei panni dell’Orco Terribile, spaccone e repellente quanto occorre, e forse si potevano evitare alcune battute improvvisate, col rischio di cadere nell’avanspettacolo (nella recita di domenica pomeriggio lamenta le difficoltà nel ‘parcheggiare’ per la concomitanza del Giro d’Italia che a Torino si conclude), ma è pur sempre nel ruolo di commedia e si tratta peraltro di una partitura non scevra di una buona dose di humour e allora la parte della moglie dell’Orco ben disimpegnata, anche sul piano attoriale, da ‘mezzo’ Silvia Beltrami (che, telefono in mano, passa la comunicazione all’Orco del capo dei sindacati degli Orchi stessi).

Funzionale e pulita la regia di Dieter Kaegi, pur senza alzate di ingegno (con il deja vu della presenza finale di tutti i protagonisti in sala, dinanzi ad orchestra e direttore sul proscenio); efficace pur tuttavia la scena del superamento del fiume, giocando sui praticabili disposti in orchestra con sali e scendi di bambini: laddove la vicenda delinea il difficile, «ma necessario passaggio verso la coscienza e l’autonomia» coi bimbi che decidono di ribellarsi agli adulti ed al loro cinismo e infatti non fanno più ritorno a casa.

Resta invero un che di irrisolto nella partitura stessa, codesta morale finale, per l’appunto, pur condivisibile sul piano ideologico, a tavolino, ma un po’ appiccicata. Resta, inevitabile, il confronto schiacciante con chi, come il sommo Ravel, seppe obiettivamente far di meglio, molto meglio, ispirandosi all’infanzia, ma non è questo il metro di giudizio. Questa infatti non è un’opera ispirata all’infanzia, bensì un’opera per far cantare e suonare bambini e ragazzini. E in ciò risiede il suo valore inestimabile.

Festa grande a fine spettacolo, dinanzi ad un pubblico dall’età media assai bassa, con scorribande in sala di bimbi muniti di orsi di peluche, in preda alla necessità di raggiungere in fretta le toilettes per impellenti urgenze, e va bene così: è il pubblico di domani e la speranza è che questo Pollicino che ha visto coinvolte decine e decine di bambini in veste attiva, e centinaia di spettatori in erba, lasci il segno. Dietro a tutta la benemerita operazione del Regio una professionalità elevata (scene e costumi gradevoli ed efficaci di Italo Grassi con quella abitazione costituita da una locomotiva da manovra adattata a baracca), luci appropriate di Andrea Anfossi ed elaborazione video di Mauro Matteucci (con una sorta di web-cam che fa entrare nel vivo del bosco durante i prolissi interludi). Impossibile citare tutti i maestri preparatori e i docenti dei Conservatori coinvolti in una operazione culturale di livello. Repliche in settimana, molto opportunamente, per le scuole, e un bel ‘giro’ di classi che per la prima volta scopriranno la magìa di entrare nel buio di una sala. La musica è anche questo.

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Tags: Hans Werner Henze
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Attilio Piovano

Attilio Piovano

Musicologo e scrittore, ha pubblicato (tra gli altri) Invito all’ascolto di Ravel (Mursia 1995, ristampa RCS 2018), i racconti musicali La stella amica (Daniela Piazza 2002), Il segreto di Stravinskij (Riccadonna 2006) e L’uomo del metrò (e-book interattivo per i tipi de ilcorrieremusicale.it 2016, prefazione di Gianandrea Noseda). Inoltre i romanzi L’Aprilia blu (Daniela Piazza 2003) e Sapeva di erica, di torba e di salmastro (rueBallu 2009, prefazione di Uto Ughi). Coautore di una monografia su Felice Quaranta (con Ennio e Patrizia Bassi, Centro Studi Piemontesi 1994), del volume Venti anni di Festival Organistico Internazionale (con Massimo Nosetti, 2003), curatore e coautore del volume La terza mano del pianista (Testo & Immagine 1997). Laurea in Lettere, studi in Composizione, diploma in Pianoforte, in Musica corale e Direzione di Coro, è autore di contributi, specie sulla musica di primo ‘900, apparsi in volumi miscellanei, atti di convegni e su rivista. Saggista e conferenziere, vanta collaborazioni con La Scala, Opéra Royal Liège, RAI, La Fenice, Opera di Roma, Lirico di Cagliari, Coccia di Novara, Carlo Felice di Genova, Stresa Festival, Orchestra Camerata Ducale ecc.; a Torino col Festival MiTo (già Settembre Musica, ininterrottamente dal 1984), Unione Musicale, Teatro Regio, Politecnico e con varie altre istituzioni. Già corrispondente del «Corriere del Teatro», ha esercitato la critica su più testate; dalla fondazione scrive per «ilcorrieremusicale.it»; ha scritto inoltre per «Torinosette», magazine de «La Stampa», ha collaborato con «Amadeus» e scrive (dal 1989) per «La Voce del Popolo» (dal 2016 divenuta «La Voce e il Tempo»); dal 2018 recensisce per «Il Corriere della Sera» (edizione di Torino). Membro di giuria in concorsi letterari nonché di musica da camera e solistici. Docente di Storia ed Estetica della Musica (dal 1986, presso vari Conservatori), dal 1991 a tutt’oggi è titolare di cattedra presso il Conservatorio “G. Cantelli” di Novara dove è inoltre incaricato dell’insegnamento di Storia della Musica sacra moderna e contemporanea nell’ambito del Corso biennale di Diploma Accademico in Discipline Musicali (Musica sacra) attivato dall’a.a. 2008/2009 in collaborazione col Pontificio Ateneo di Musica Sacra in Roma. Dal 1° gennaio 2018, cura inoltre l’Ufficio Stampa del Conservatorio “G. Cantelli”. Dal 2012 tiene corsi monografici sulla Storia del Melodramma (workshop su «Architettura, Scenografia e Musica» presso il Dipartimento di Architettura & Design del Politecnico di Torino, Corso di Laurea Magistrale, in collaborazione con Fondazione Teatro Regio). È stato Direttore Artistico dell’Orchestra Filarmonica di Torino. Dal 1976 a Torino è organista presso la Cappella Esterna dell’Istituto Internazionale ‘Don Bosco’, Pontificia Università Salesiana (UPS), dal 2017 anche presso la barocca chiesa di San Carlo, nella piazza omonima, e più di recente in Santa Teresa. Nell’autunno del 2018 in veste di organista ha partecipato ad una produzione del Requiem op. 48 di Fauré. È citato nel Dizionario di Musica Classica a cura di Piero Mioli, BUR, Milano © 2006, che gli dedica una ‘voce’ specifica (vol. II, p. 1414).

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