XX e XXI • «Monodramma giocoso da camera». Questo il sottotitolo dell’opera scritta dal compositore italiano nel 2001-02 su testo di Renzo Rosso e ripresa con successo nell’attuale edizione del festival di Milano Musica dedicato a Morton Feldman. Direzione musicale di Marco Angius
di Cecilia Malatesta foto Vico Chamla
UN FLUSSO CONTINUO DI PAROLE E di musica, di follia e movimento, di profonde riflessioni politiche ed esistenziali e di improperi e gesti osceni, questo è L’imbalsamatore. Monodramma giocoso da camera di Giorgio Battistelli, che firma anche la regìa. Non c’è soluzione di continuità tra i deliri verbali e corporali di Miscin, l’addetto al periodico restyling della salma di Lenin nel mausoleo della Piazza Rossa, e gli interventi della compagine cameristica che accompagna e inevitabilmente commenta con ironia l’andirivieni impetuoso tra il tavolino, il lavamani, la salma, la bottiglia di vodka e gli alambicchi fumanti. Un monologo feroce, quello di un novello dottor Frankenstein, di un nuovo Faust, folle nel disperato tentativo di restituire al suo Capo un aspetto umano grazie a un nuovo farmaco che dovrebbe preservare la salma ma conferirle elasticità e morbidezza, ubriaco di vodka, birra e amore nel tratteggiare il ricordo della moglie Irina, pazzo nella disperazione quando l’esperimento fallisce e la salma si sgretola sotto i suoi occhi divenendo sabbia; e Miscin si immola prendendo il posto del suo idolo e paziente, iniettandosi il liquido imbalsamatore.
Un continuum dal moto sinusoidale che mantiene alti i toni e, soprattutto nella prima parte dello spettacolo, poco concede ai momenti di quiete, con la recitazione di Riccardo Massai molto enfatica e drammatici interventi orchestrali che emergono da un tappeto sonoro quasi a contrappunto della voce. Cupezza e pesantezza monolitica, grotteschi interventi di valzer ad accompagnare un delirante balletto intorno alla salma, una danza macabra che unisce Miscin con il fantoccio dell’amata e odiata moglie, bellissima e libidinosa con tutti, crudele e sprezzante nei confronti del vecchio marito. Giorgio Battistelli è capace di toni lievi e spunti ampiamente melodici nei brevi momenti di ritorno alla realtà del protagonista, quando, tra i commenti adulatori al corpo di Lenin e forti critiche al regime, torna al suo tavolo e prepara farmaci e siringhe per continuare il suo lavoro. Sotto la direzione di Marco Angius, l’Ensemble “Giorgio Bernasconi” dell’Accademia del Teatro alla Scala è capace di simulare gesti da grande orchestra, muovendosi sempre in un’inequivocabile atmosfera dal timbro tipicamente russo, declinato nelle sonorità più gravi, grazie ad una scelta dell’organico che predilige la cupezza di contrabbassi e violoncelli, clarinetti, tromboni, percussioni e tube. Alvise Vidolin ha gestito il live electronics e Angelo Linzalata le scene, i costumi e le luci.
In un finale ad alta emozione in mano alla straordinaria bravura di Riccardo Massai, ci si chiede quanto sia “giocoso” il monodramma che Battistelli porta in scena; il geniale testo di Renzo Rosso strappa accenni di sorrisi stiracchiati ma ben presto smentiti da una livida scena dominata da una colossale salma e da un uomo qualunque, comunemente, ma terribilmente disperato di fronte a una società immutata e imbalsamata, capace di trovare rimedio allo sgretolamento della propria identità dilaniata solo nella compostezza della mummificazione.
L’imbalsamatore Monodramma giocoso da camera di Giorgio Battistelli | Rappresentazione del 25 ottobre 2013 | Piccolo Teatro Studio Milano | dir. Marco Angius | Ensemble “Giorgio Bernasconi” dell’Accademia del Teatro alla Scala |
DENTRO L’OPERA
Marco Angius:«Interazione musicale e drammaturgica»
Di ritorno da Venezia, dove ha diretto il Siengspiel Aspern di Salvatore Sciarrino, ritroviamo il direttore d’orchestra Marco Angius impegnato con la partitura di Battistelli, che aveva già registrato con l’Icarus Ensemble (Stradivarius).
«La particolarità di questo monodramma è che è dedicato ad un attore, mentre altre esperienze del passato erano più ibride, tra figure di voci cantanti o voci che avevano una tecnica di emissione vocale, penso a Frau Frankestein per esempio, che usava molto il microfono e lavorava su tipi specifici di emissioni fonetiche. L’imbalsamatore ha tante particolarità, innanzitutto perché ha una forma molto estesa di circa ottanta minuti tutti sulle spalle di un unico attore che è il personaggio principale. Poi c’è una cosa che io trovo molto interessante che è l’interazione che c’è tra struttura musicale e struttura drammaturgica, che è l’aspetto su cui Battistelli ha più limato e lavorato: c’è una preoccupazione formale in cui la musica è allo stesso tempo l’interlocutore principale di Miscine quindi certe volte è l’ensemble stesso che pronuncia una sorta di coro, come è nello stile di Battistelli, cioé mugugni, oppure gramelot, certe volte incomprensibile certe volte ai limiti del materico, del rumoristico.
Così come ci sono degli innesti elettroacustici molto importanti, suoni dell’esterno che la regia di Vidolin porta all’interno del teatro. Ci sono supporti storici preesistenti, come la voce storica di Lenin che appare come colpo di teatro nel finale». (S.P.)