Il film-documentario di Angelo Bozzolini è dedicato all’Orchestra dell’Accademia Nazionale di Santa Cecilia. Numerose le testimonianze che ne delineano il profilo artistico: in primis quella di Antonio Pappano. Inoltre i direttori ospiti, gli orchestrali e gli interpreti solisti
di Marco Testa foto Musacchio&Iannello
Il carattere italiano è un sentimento pieno di vita, un modo di vedere le cose veramente con passione. Non si tratta di indagare come le cose dovrebbero essere, la loro struttura… ma di passione. Tutto in questo paese mi appare così
LUOGHI COMUNI A PARTE, un fondo di verità ci dev’essere nelle parole di Janine Jansen, la nota violinista olandese che ha recentemente concluso una tournée in Nord Europa insieme all’Orchestra dell’Accademia di Santa Cecilia, l’istituzione protagonista del bel film-documentario firmato dal cineasta romano Angelo Bozzolini e intitolato per l’appunto Il Carattere italiano.

Classe 1973, già collaboratore di fortunate trasmissioni televisive, Bozzolini non è nuovo a fatiche musicofile, come testimoniano i suoi precedenti lavori dedicati a Chopin, a Mendelssohn e all’European Union Youth Orchestra (EUYO), che Claudio Abbado diresse tra il 1976 e il 1994. Questa volta il regista romano ha voluto omaggiare, insieme all’orchestra romana, l’italianità, e l’italianità forse ancor prima che la musica italiana. Un’italianità intesa come arte radicata in ogni forma dell’esperire quotidiano, dalla preparazione di un concerto per violino e orchestra alla produzione di miele nelle campagne laziali, passando per l’antica tradizione liutaria cremonese. E quale miglior modo per tentare di comprenderlo, questo carattere italiano, se non sviscerando l’interno di una delle orchestre più rappresentative dell’universo musicale della stessa Penisola e con esso il carattere e le caratteristiche dei suoi orchestrali? Bozzolini è riuscito realmente, nella sua pellicola della durata di circa un’ora e quaranta minuti, a riprodurre questi aspetti, o alcuni dei loro molteplici volti, descrivendo con viva intensità un’esperienza musicale e umana in un crescendo di riflessioni, passioni e qualche volta persino di garbata commozione.

Parte di comprimario non può che spettare, naturalmente, ad Antonio Pappano, cinquantacinquenne inglese di anima e sangue italiani (i genitori approdarono nell’Essex da Castelfranco in Miscano, un paesino di circa mille anime in provincia di Benevento) e direttore musicale dell’Accademia di Santa Cecilia da ben dieci anni. Perché Pappano è sì cresciuto tra l’Inghilterra e gli Stati Uniti, ma il suo carattere è imbevuto d’italianità sino alle midolla: «Se hai del talento», afferma, «lo devi curare, lo devi sviluppare. Tale capacità in qualche modo l’ho acquisita in questo paese». Più che un valore aggiunto, per Pappano l’italianità è un valore fondativo, al quale attinge a piene mani riversandone gli umori al momento di fare della musica. La sua incrollabile etica del lavoro, quello stacanovismo che suole attribursi, gli proviene non dall’etica protestante, ma da quella cattolica trasmessagli dai genitori, in barba a tutti i Max Weber di questo mondo. Recentemente una delle università dell’Urbe (Tor Vergata) gli ha conferito la laurea honoris causa in Musica e Spettacolo, e si tratta del suo primo titolo di questa natura perché in gioventù la sua unica palestra (assieme, un pochino più tardi, a uno stuolo di lezioni private in America) fu il duro lavoro svolto assieme al padre cantante, che accompagnava quotidianamente al pianoforte sino a tarda sera.
Oltre a Pappano sono tanti i musicisti invitati da Bozzolini a dibattere: da autentiche celebrità quali Yuri Temirkanov, Valery Gergiev o Daniel Harding a semplici appassionati scelti casualmente tra il pubblico, da acclamati solisti agli orchestrali dell’Accademia. Tutti però, in modo differente ma con immutato interesse, esprimono volentieri la propria personale lettura dell’italianità in musica, lasciandosi andare non di rado in curiosi, sapidi aneddoti sulla propria vita privata e musicale. E se l’Orchestra di Santa Cecilia, afferma il primo clarinetto Alessandro Carbonare, non è forse la più precisa al mondo, si tratta d’altra parte di uno dei gruppi più musicali con cui si possa avere a che fare (e detto da uno che ha fatto parte dell’Orchestre National de France, collaborato con la Chicago Symphony Orchestra diretta da Muti e con gli stessi Berliner, ci sembra rimarchevole). Nondimeno accade che a emergere siano spesso le individualità, più che il gruppo nella sua interezza: «Suoniamo come cento bravissimi solisti», prosegue Carbonare, e sarà forse un caso, come intelligentemente notò in un’altra occasione Philippe Daverio (proprio lui), che le orchestre sinfoniche meglio organizzate si siano affermate nei paesi con una maggiore tradizione militare (tra cui certo non figura l’Italia!)?
Ma il documentario non intona solo le note del Bel Canto. Non rimarca, di questa grande orchestra, solo l’affinità con il paesaggio operistico, tant’è che dopo aver assistito all’esecuzione del Concerto per violino e orchestra di Brahms (op. 77 in re maggiore) – solista Lisa Batiashvili – uno spettatore tedesco si sbilancia: «quando si parla di Brahms la cosa migliore [è] ascoltare un’orchestra italiana».
In definitiva, lo spettatore potrà godersi il film di Bozzolini vivendo una costante sensazione di sorpresa, senza mai rimanere deluso: l’orchestrale sentirà di condividere molte delle sensazioni descritte dai colleghi, mentre per il semplice appassionato si tratterà di un viaggio inedito, un’occasione da non perdere che gli consentirà di grattare laddove le sue unghie normalmente non possono arrivare. Tanti, insomma, i punti di vista che vanno a incontrarsi, svariate le prospettive che vengono a dialogare tra loro, con una certezza che sembra mettere tutti d’accordo: la musicalità italiana è da attribuire a un qualche “carattere” peculiare di questo popolo, che certo non può prescindere dalle particolari, complesse, condizioni storiche con cui esso dovette fare i conti. Carattere di cui l’Orchestra di Santa Cecilia si fa portavoce sin dalla sua fondazione, avvenuta nel lontano 1908.
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Sito internet del film: www.alpenway.com/santacecilia
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