Dal 23 al 26 settembre si è svolta al Teatro Verdi di Firenze la IV edizione del festival dedicato alla musica contemporanea italiana, tra prime assolute e nazionali, commissioni. La direzione artistica è di Giorgio Battistelli
di Paolo Carradori foto © Marco Borrelli
SE AFFIDASSIMO AI SOLI NUMERI, con il loro freddo ma indubbio peso specifico, il racconto di un festival (che piacevole termine vintage) come Play It!, al di là della sorpresa resteremo però solo sulla superficie di una manifestazione che ha conquistato un posto di rilievo nel panorama della proposizione della musica d’oggi del nostro paese (quest’anno: ventuno compositori, quattro direttori, nove solisti, sedici prime assolute, tre prime nazionali, otto commissioni ORT). I capisaldi di questa realtà sono indiscutibilmente due: la direzione artistica di Giorgio Battistelli, l’Orchestra della Toscana. Battistelli sa bene che l’utopia non è qualcosa di irrealizzabile ma qualcosa di ancora non realizzato. Come se operasse in un paese culturalmente “normale”, di conseguenza agisce offrendo all’ultima generazione (anche la penultima) di compositori una vetrina dove esprimere, oltre un segnale di esistenza, i loro percorsi creativi. Amplia la proposta con cicli di incontri tematici mattutini che quest’anno hanno come tema il concetto di “dubbio”, scelta di per sé emblematica per un’arte immateriale come la musica.
L’Orchestra della Toscana è un organismo vitale, professionalmente e creativamente capace di confrontarsi con i repertori più ampi garantendo rigore, capacità interpretativa, suono collettivo riconoscibile, e anche scomposta in ensemble più o meno ampi, mantiene queste caratteri grazie a solisti di alta qualità. Poste queste fondamenta tentiamo un viaggio dentro la musica di Play It! 2015, una lettura possibile e parziale dei primi tre giorni di programmazione per blocchi di interesse, segnalando i suoni più fascinosi, i momenti più forti, qualche delusione.
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Nella consistente proposizione di brani per orchestra o larghi ensemble emergono subito alcuni lavori, che pur da presupposti diversi, ne trattano un “uso” originale o almeno lontano dalla tradizione. In Ballata n.3 per piano ed ensemble (2014) di Francesco Filidei il rapporto pianoforte e orchestra è riletto in modo sorprendente. Dopo un incipit dai colori giocosi, ritmati e cangianti sviluppati sulla destra della tastiera gli archi conquistano progressivamente spazio, accumulano tensioni e fermenti. Il pianoforte di Emanuele Torquati sta sempre dentro il racconto musicale, ne percorre la superficie con avventurose scorribande, accordi simmetrici, note legnose fino a pause dai silenzi assordanti. Strumento che cancella retoriche e dipendenze, fa corpo unico con l’orchestra, “costringe” l’esecutore ad un ruolo nuovo, non più guru ma testimone.
Sulla stessa linea culturale Lorenzo Pagliei con A.L.M.A per violoncello e orchestra (2015) che a suo modo rimette in gioco il ruolo del “solista. Il violoncello di Francesco Dillon si ritrova in un’alba fredda, in uno spazio sconosciuto, tra i movimenti dissonanti dell’orchestra. Non serve virtuosismo ma scavare nel suono, usare lo strumento come sonda che entri nelle cavità più profonde. Dillon scava mirabilmente con il suo archetto ora poetico, ora nervoso, radicale, tra pizzicati e gesti percussivi sulle corde. Mentre nel Concerto per violino e orchestra (2015) Marco Lena rispetto al ruolo del solista, l’eccellente Andrea Tacchi, rimane più aderente ad echi classicheggianti in una stratificazione, per blocchi ritmici e lirismi di ampio respiro.
Emanuele Casale con 11 per ensemble ed elettronica (2008) rischia molto nello stendere misteriose isole sonore, episodi intimi, impasti che ricordano alcune ironie zappiane, dove l’elettronica riempie l’interstizi della trama. Ripetizioni, svolazzi, distorsioni, caos, distribuiti in una coerenza estetica e stilistica senza la ricerca di effetti speciali fino a raggiungere una coinvolgente drammaturgia finale.
Azio Corghi, in un impianto meno sperimentale, con …Ite Bellu! per soprano e archi (2003), cinque “mutos” dal Canzoniere Italiano a cura di Pier Paolo Pasolini, affida alla voce di Laura Catrani, emozionante la sua interpretazione, lo sviluppo dei caratteri popolari del lavoro costruendo con l’orchestra un percorso melodico mosso, a tratti struggente, sui colori scuri di contrabbassi e violoncelli. Con Per vivere il sole che sorge per orchestra (2015), ispirato ad una lirica del poeta palestinese Mahmūd Darwīsh, Alessandra Ravera pur coinvolgendo, stimolando con maestria la potenza evocativa dell’orchestra rischia un eccessivo didascalismo, schematismo nella contrapposizione tra movimenti drammatici (guerra, dolore) e lirici spazi di luce (speranza, pace). Rimanendo sul fronte di composizioni al femminile, Daniela Terranova con Interno Metafisico. “D’Après” De Chirico per orchestra d’archi (2015) prima ci stordisce con un labirintico uso percussivo di corde stoppate e legni di tutti gli archi, suoni flebili danzanti per poi aprirsi ad uno scenario di grande fascino, enigmatico, che si prosciuga in un silenzio che ci interroga.
Marcello Filotei con To sync or not to sync (2015) al di là dell’uso dei due metronomi fatti partire fuori sincronia, con tutti i significati correlati ai rapporti di comunicazione interpersonale, ci presenta una composizione da un andamento vagamente sognante. Linee continue e onde sonore convergenti che le ance “sporcano” con suoni inquieti costruendo una stimolante aria di attesa che si risolve in un climax dai caratteri forti. Ci piace sottolineare infine, nell’unica proposizione nella forma di quartetto d’archi, String Quartet della venticinquenne Chia-Ying Lin da Taiwan – vincitrice del Concorso Internazionale di Composizione dell’Associazione Piero Farulli – che sorprende per la maturità espressa nei quattro brevi movimenti. Un prezioso gioco di incastri ritmici, astrattismi e passaggi meditativi che il Quartetto Maurice esegue con diligente coerenza.
Convinti che un festival, se pur dalla ampia proposizione come Play It!, da solo non ci possa dare una istantanea omnicomprensiva dell’intero panorama contemporaneo, molto comunque ci racconta. Di una realtà in continuo movimento dove a fronte di composizioni e compositori che coraggiosamente guardano al futuro leggendo l’oggi, anche della loro professione, con avventurose visioni e slanci creativi, ancora troppa polvere rimane su partiture formalmente nuove ma ancora dipendenti da stilemi e retoriche del passato. La strada è lunga ma comunque tracciata.
PLAY IT!
23-26 settembre 2015 – Teatro Verdi Firenze. Direzione Artistica Giorgio Battistelli, Orchestra della Toscana. Direttori: Daniele Rustioni – Francesco Lanzillotta – Luca Pfaff – Marco Angius
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